hindi) tanto lui pare signorile, elegante, compassato e raffinato. Il che non significa, ovviamente, privo di nerbo e di passione, visto che alcuni suoi "solo" - soprattutto alle tablas e al basso elettrico, originalmente suonato con l'archetto - paiono un vulcano in eruzione: per energia, fuoco interno e furore improvvisativo. Shri - contrazione a uso occidentale dell'altrimenti impronunciabile Shrikanth Sriram - è nato a Bombay nel 1969, ma da qualche anno in qua vive e lavora a Londra: alla corte di quella Outcaste Records che ha lanciato nel mondo un altro paio di geniacci della musica indiana contemporanea, Talvin Singh e Nitin Sawhney. Shri ha la faccia glabra e pulita del teen-ager ben educato, ma i capelli grigi di un diplomatico di carriera: tanto perfettamente brizzolati e arricciati da sembrare l'opera d'arte di un rinomato coiffeur di King's Road, magari Vidal Sassoon in persona.
Proprio questo gli diciamo quando lo incontriamo nel Palazzo del Municipio di Chiasso, un paio d'ore prima del suo concerto di sabato 15 giugno a "Festate", mentre sul palco imperversano i fantastici vegliardi dell'Orquesta Aragón. Al che lui sbotta in una risata contagiosa e risponde che "no, è tutta opera meritoria del buon Dio". E un'altra gran risata - una risata di divertimento, non di scherno - Shri si concede quando cominciamo a parlare del "Banghra style", e lui ribatte che "con quella roba lì non ho proprio niente da spartire". E dunque è così, sull'onda liberatoria di due meravigliose risate consecutive, che la nostra chiacchierata può finalmente iniziare...
Come potresti definire la tua musica, allora?
"Nella maniera più semplice possibile, perché, come avrai già capito, a me non piacciono le etichette, e men che meno quelle robe magniloquenti che suonano alla stregua di... Anglo-Indian Beat Funk Contemporary Connection! E allora, quando suono in compagnia di Badmarsh e della percussionista Michelle Drees, come succede qui a Chiasso, la chiamo Badmarsh & Shri Music. E invece, quando suono da solo, Shri Music e basta. Comodo, semplice ed efficace, non ti pare?".
Altro che. E dunque è un cocktail...
"Un cocktail dove c'è dentro di tutto, perché io ho avuto la grandissima fortuna di crescere dentro una famiglia in cui la musica aveva un ruolo e un'importanza fondamentali. Mio padre era un grande virtuoso di sitar, mia madre una fantastica specialista di violino karnatico, come pure mia sorella. E io, grazie a loro, ho potuto ascoltare di tutto: tantissima musica classica indiana, ovviamente, e poi tanto jazz (Miles Davis, Weather Report, Keith Jarrett, Bill Frisell), un sacco di rock (classico, psichedelico e hard) e perfino... Paolo Conte, che amo di un amore totale! Dunque, quel che cerco di fare ora con la mia musica, la Shri Music, non è tanto una fusion, un esperimento che a me personalmente non dice nulla, quanto la "formalizzazione di un feeling". La materializzazione di un sentimento che pesca a mani basse in qualunque direzione possibile, da qualunque sorgente musicale ipotizzabile".
Hai parlato di jazz e di musica classica indiana. In entrambi i casi l'improvvisazione è una componente fondamentale...
"Certo, e infatti nella musica che faccio l'improvvisazione è libera di spaziare per ogni dove. E poi, essenziale, c'è quello che io chiamo "Spirit on Stage", l'energia che si sviluppa dentro il corpo della musica e fra le anime dei performer. E' questo il vero Potere insito nella musica, come avevano perfettamente compreso - tanto per fare un paio di nomi - sia Jimi Hendrix che i "grunger" di Seattle. Sono loro, proprio loro, quelli che hanno brillantemente chiuso il grande cerchio iniziato a Woodstock. E così, grazie a loro, la mia generazione ha potuto ricominciare".
La tua generazione... Quella immediatamente successiva al punk, intendi dire?
"Dal punto di vista anagrafico sì, dal punto di vista musicale no. Infatti, a Londra io sono arrivato solo nel 1994, quando il punk era morto e sepolto già da un bel pezzo. Diciamo allora che la mia generazione è quella dei disc-jockey, che mi piacciono molto per la capacità che hanno di mettere in musica tutto quanto. E', soprattutto, la generazione del drums 'n' bass. E questo è uno dei motivi - o forse "il" motivo per eccellenza - per cui io suono il basso".
Ma poi suoni anche - splendidamente bene - strumenti classici indiani come il flauto di bambù e le tablas...
"Naturalmante, perché la musica classica indiana è parte integrante del mio Dna. Adoro gente come Pandit Bhimsen Joshi, il più grande vocalist ancora in attività, il virtuoso di "sarangi" (il violino indiano) Druba Ghosh, il mandolinista U Srinivas, il flautista Hariprasad Chaurasia. Sono musicisti straordinari, un meraviglioso balsamo per le orecchie, il cuore e l'anima!".
Visto che hai citato il grande Hariprasad Chaurasia, certo ti piacerà anche il progetto Shakti, creato da John McLaughlin e Zakir
Hussain...
"Oh, sì: è assolutamente fantastico! Ho ascoltato fino allo sfinimento il loro primo album, uscito quando avevo sei anni o giù di lì... E poi mi piace moltissimo quel che sta facendo Trilok Gurtu: un grande musicista, oltre che un meraviglioso amico!".
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