di
un'arpa d'oro per spostare alcune pietre di prodigiosa grandezza -
diciassette, per la precisione - disseminate sulle pendici
impervie del monte Killare, e disporle poi lungo la circonferenza
di un cerchio perfetto: quello che, da allora, viene abitualmente
denominato "Druid's Ring". Dicono ancora che Craiftine,
concertista di fiducia della bellissima principessa irlandese
Moriath, diede nuova favella a un giovane re, promesso sposo della
fanciulla, suonando per lui le tre melodie in cui si riconoscono,
da sempre, tutti gli arpisti di derivazione celtica: il ritornello
del lamento, il ritornello del sorriso e il ritornello del sonno.
Si
potrebbe continuare all'infinito con gli esempi. Ma i tre appena
riportati sono una testimonianza più che sufficiente
dell'altissima considerazione in cui, dalla Grecia di Omero fino
all'Irlanda di Brigit, regina e madre di tutti gli arpisti, veniva
tenuto lo strumento tanto caro agli dei e ai poeti. Non a caso
sempre associato al cigno bianco, quale simbolo per eccellenza del
viaggio mistico verso i Mondi Superiori.
Ma
ora proviamo a spiccare un enorme balzo nello spazio e nel tempo,
per arrivare di volata fino ai giorni nostri. Non sappiamo bene
quale ruolo abbia giocato il Mito, verso la fine degli anni
Settanta, nell'indirizzare verso le magie sonore dell'arpa
l'allora giovanissima Loreena McKennitt. Quel che però sappiamo,
e bene, è quanto enormemente sia cambiata la sua vita, a partire
da quel giorno fatidico. Infatti, come può capitare alla figlia
di un commerciante di bestiame di Morden, Manitoba, Loreena, da
piccola, sognava di fare la veterinaria. Poi, però, dev'essere
successo un qualcosa di strano: uno di quei "quid" molto
sfuggenti e misteriosi, che neppure il senno di poi riesce a
decrittare. Sta di fatto che una sera, in un fumoso folk-club di
Winnipeg, le capitò di ascoltare alcune melodie celtiche: e tanto
bastò a scuotere in profondità le sue radici irlandesi. Così,
qualche anno più tardi, mentre si trovava a Londra, le sembrò
del tutto naturale comprare un'arpa celtica di seconda mano: la
stessa che usa ancora oggi, la stessa che le ha fatto
completamente dimenticare le antiche velleità veterinarie. Tanto
che non è affatto azzardato ipotizzare che le origini della sua
attuale, pubblica attività, si possano far risalire proprio a
quell'indimenticabile notte canadese.
Loreena
è troppo modesta, oseremmo dire "understated", per
azzardare paragoni con altri colleghi, specie se più famosi e
venerati di lei. Ma chi l'ha ascoltata svariatissime volte in
concerto - per esempio Lynne Van Matre, critico del "Chicago
Tribune" - sostiene che in lei la predisposizione per lo
strumento rappresenta un qualcosa di assolutamente innato e
ancestrale. "La McKennitt", scrive testualmente,
"possiede la capacità - rarissima - di costruire un sound
complesso: che è, da una parte, una prodigiosa evocazione
dell'antica musica irlandese, e, dall'altra, un continuo richiamo
alla contemporaneità più nobile e innovativa". Non
bastasse, "la sua voce riassume in sè tutte le stigmate del
magico, in grado di azzerare ogni possibile paragone con altri
strumentisti".
La
voce, appunto. Autentico vaso di Pandora dalle mille tinte e
sfumature, è proprio questo lo "strumento in più" che
Loreena possiede. Una voce che pare un'invidiabile via di mezzo
fra i toni rarefatti di Enja, la "chanteuse" di Sligo già
attiva nei Clannad, e i climi evocati da Agnes Buen Garnas, la
sublime vocalist svedese che ha fatto grande il quartetto del
sassofonista Jan Garbarek. Una voce che suona inconfondibilmente
"nordica", anche se l'ascoltatore attento vi può
agevolmente rinvenire gli echi di tantissime fonti primarie della
World Music d'oggidì. "Per esempio delle nenie arabe che ho
ascoltato nel mio peregrinare per la Spagna del sud e il Marocco.
O magari del canto "qawwali" di Nusrat Fateh Ali Khan,
uno degli artisti che prediligo in assoluto", precisa lei,
quasi a voler sottolineare il carattere cosmopolita del suo
personalissimo stile, e la vastità pressochè sterminata dei
modelli di riferimento.
Proprio
da qui, da questo policentrismo che non conosce barriere nè
confini, nasce la sua (garbatissima) polemica nei confronti della
New Age Music. "Il fatto è che, in America, moltissime
persone tendono ad associare al termine New Age un tipo di musica
molto circoscritto e particolare: una "musica
d'atmosfera", essenzialmente, che bada in primo luogo al
benessere psico-fisico di chi l'ascolta", dichiara Loreena.
"Anche a me, sia ben chiaro, stanno a cuore, e molto, le
"good vibrations" dei miei estimatori. Ma questo
obiettivo, di per sè nobilissimo, non può far dimenticare il
"conflitto eclettico" insito nella mia musica: vale a
dire le influenze culturali che vi convergono in maniera
paritaria, e il fatto stesso che i collaboratori di cui mi avvalgo
provengono da territori fra loro diversissimi, come il jazz, il
rock, la musica latina e perfino l'avanguardia sperimentale".
La
specificazione è importante. Al contrario di tanta New Age
contemporanea, quasi sempre costruita attorno a grumi gracilissimi
di note avulse dalla storia, e reiterate all'infinito grazie
all'utilizzo di sintetizzatori, sequencer e altri marchingegni
dell'elettronica moderna, la musica di Loreena riesce a gettare un
arditissimo ponte fra il "qui e ora" e gli echi di un
passato a volte arcaicamente lontano. Non a caso i suoi ultimi
dischi - "The Visit", "The Mask And Mirror" e
il recentissimo "The Book of Secrets": altrettanti
capitoli di un'autentica trilogia - presentano rilevanti
somiglianze in termini di background, di elementi di ricerca, di
fonti di ispirazione. "Sono veri e propri documenti delle mie
esplorazioni sul campo", dice lei semplicemente. Ma questi
mirabili affreschi sonori, abbozzati dapprima attorno a
un'idea-forza alquanto grezza, e poi precisati passo dopo passo,
come capita a qualunque "work in progress" degno di
questo nome, non potrebbero davvero esistere senza una riflessione
storica circostanziata, senza un'indagine puntuale dell'esperienza
umana, senza un'attenzione tesa a cogliere ogni stilla d'emozione,
dalla più "densa" alla più "sottile". Senza,
soprattutto, un viaggio instancabile fra le pieghe del mondo
visibile (l'Irlanda, la Turchia, la Grecia, l'Italia, la Spagna,
il Marocco, la Siberia...) e le voragini abissali del Sè più
profondo e riposto.
Proprio
questo, in definitiva, è il significato autentico di "The
Book of Secrets". Già il fatto che il titolo sia stato
ripreso da antichi testi alchemici testimonia della volontà di
riflettere su alcuni nodi "filosofici" a tutt'oggi
irrisolti: sostanzialmente, chi debba esercitare un potere di
controllo sulle informazioni necessarie al progresso dell'umanità.
Ma poi - quasi un corollario necessario - vengono le convinzioni
di Loreena, assolutamente personali ma completamente
condivisibili: per cui, da un lato, "più impari sul mondo,
più impari su te stesso"; e, dall'altro, "i segreti più
interessanti sono sempre quelli che scopriamo su noi stessi".
Infine (meglio: in principio) giunge a illuminarci l'aforisma
coniato dall'ineffabile Lao Tzu (in lingua: il Vecchio Maestro
Bambino) un bel po' di anni fa, diciamo 25 secoli prima di Bruce
Chatwin: che testualmente afferma: "ogni buon viaggiatore non
ha una meta prefissata e non gli importa dell'arrivo".
Sacrosanto.
Fra
queste "non mete", a buona evidenza, c'è il viaggio per
eccellenza: il Cammino dello Spirito. Ma anche in questo caso,
come sempre le accade, Loreena McKennitt dà prova di un'umiltà
tanto consapevole quanto rigorosa. Dice, in buona sostanza:
"Sono ancora a uno stadio primordiale della ricerca del mio Sè.
Nel corso della registrazione di "The Mask And Mirror"
ho potuto conoscere la storia spagnola, la spaccatura del paese in
tre diverse comunità religiose, la grande capacità delle persone
di essere coinvolte in senso spirituale: e tutto questo mi ha
colpito molto profondamente. Durante la realizzazione di "The
Book of Secrets", invece, ho provato il momento di maggior
commozione viaggiando con la Transiberiana: il dramma umano che
vedevo consumarsi fuori dal mio finestrino, al cospetto di tanta
gente quasi sempre disperata, si è risolto, dentro di me, in
un'esperienza spirituale formidabile. Proprio da qui ho tratto la
convinzione che il bisogno di spiritualità degli esseri umani sta
diventando sempre più forte. E, soprattutto, sempre più
disponibile a svincolarsi dalle gabbie, alquanto rigide,
predisposte dalle religioni istituzionalizzate".
Chi
ancora crede nell'immanenza del Caso, potrà magari pensare che
una riflessione del genere abbia cominciato a intrufolarsi nella
mente di Loreena per un mero afflato di natura probabilistica: la
Legge dei Grandi Numeri è pur sempre un'eccellente scialuppa di
salvataggio, non è vero? Ma chi, al contrario, comincia a nutrire
il dubbio che tutti gli accadimenti dell'esistenza umana siano
legati fra loro da un filo, sicuramente invisibile ma non per
questo meno potente e rigoroso, non potrà fare a meno di notare
la formidabile "singolarità" del luogo e delle
circostanze. La Siberia, infatti, è ancor oggi uno dei luoghi
deputati dello Sciamanesimo planetario. E lo Sciamanesimo, per
dirla con le parole di un autorevole studioso come John Matthews,
"è, con ogni probabilità, la più antica disciplina
spirituale conosciuta al mondo: non religione organizzata, ma
pratica complessa e rigorosa, capace di attraversare tutte le fedi
e le credenze per raggiungere i livelli profondi della memoria
ancestrale".
Sorge
dunque il sospetto che la tappa siberiana di Loreena sia stata ben
più di un banalissimo accidente, casualmente indirizzato alla
costruzione di una splendida canzone: "Night Ride across the
Caucasus". Al contrario, risplende la certezza che, quella,
sia stata una "non meta" per antonomasia: sistemata lì
a bella posta perché potesse trarne i rudimenti - magari ancora
piccoli, ma sempre meno incerti e labili - necessari alla cura di
un mondo malato. Infatti, anche di questo si occupa, da sempre, lo
Sciamanesimo autentico.
Sia
quel che sia, una cosa è certa: lo strumento che nostra Madre
Terra ha voluto dare in dono a Loreena, e che così amabilmente
ora lei dona a noi, con sonorità tanto cristalline e
incontaminate, non è proprio roba da poco. C'hanno mosso mari e
monti, con quell'arpa incantata. E, per nostra fortuna, li
muoveranno ancora: in saecula saeculorum. Amen.
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