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Guardami
nelle palle degli occhi, suggerisce David Byrne dalla copertina -
coloratissima, alquanto psichedelica e tridimensionale - del suo
nuovissimo disco. Noi cogliamo al volo l’invito, e notiamo che
ha gli occhi vispissimi dei |
tempi belli con i Talking Heads, e una saggezza e una
tranquillità allora impossibili (forse perché del tutto lontane
e ignote). Poi aguzziamo anche le orecchie, e passiamo all’ascolto
di quel che l’album è in grado di offrirci. Che è tantissimo,
e tutto ben variegato, agitato, miscelato. Vale a dire, mutando
parole, quel mix irripetibile di samba e cha-cha, mambo e rumba,
rock ed elettronica, così strettamente connesso alla multiforme
personalità del performer scozzese. Che questa volta, al suo già
inebriante cocktail, decide di aggiungere anche una dose massiccia
di violini, viole e violoncelli: "per sottolineare a dovere
le canzoni più romantiche presenti nel disco". Prima fra
tutte "Smile", impagabile esempio di "canto con il
sorriso" (un po’ come faceva il grande Henry Salvador
quarant’anni fa): che brilla di una luce smagliante, e mette
addosso il buon umore al solo sentirla. Tutto il resto è
"byrneismo" allo stato puro: vale a dire quanto di più
sfaccettato, colorato e avvolgente ci passi il convento di questi
tempi. |