casa nostra. Ma che è anche, o soprattutto, il nucleo di un intero universo filosofico, così sintetizzato da mister
Brown: «Da qualche tempo in qua, finalmente, non solo il Brasile, ma il mondo intero, sembra voler riscoprire la totalità dell’ambiente in cui viviamo: la città e tutto ciò che la circonda, la campagna, la foresta, i fiumi e i laghi. I Tribalisti hanno il compito di trasmettere questo messaggio, di seminare fertilità dovunque intervangano, proprio come il contadino che semina il grano. Perché loro vivono in armonia completa con la natura circostante, hanno impressa nel Dna la “chimica” dello stare insieme».
Non soprende che un concetto così intimamente esoterico venga diffuso urbi et orbi da un musicista come
Carlinhos Brown, al secolo Antonio Carlos Santos Freita: gran sacerdote del candomblé, oltre che stella di prima grandezza del “nu samba”. Sorprende, semmai, che a questa orgogliosa dichiarazione di intenti si siano immediatamente associati anche Arnaldo Antunes - quarantatreene poeta, videomaker e rockista di San Paolo - e, soprattutto, la raffinatissima chanteuse
Marisa Monte, musa prediletta di artisti come
Ryuichi Sakamoto, John Zorn,
Arto Lindsay e Marc Ribot. Ma, evidentemente, ci dev’essere una forza enorme dentro quell’idea, apparentemente tanto spontanea e naïf. E infatti Marisa - che del disco, edito dalla Virgin, è anche la coordinatrice e produttrice - la conferma in pieno: «Mi piace pensare che il termine Tribalista contenga in nuce i concetti di trio, trinità e tribù: un sanissimo miscuglio di sacro e profano. E ancor più mi piace immaginare che questo possa essere l’antidoto giusto contro gli eccessi dell’ego, un modo un po’ sghembo per parlare del declino dell’individualismo, che già si percepisce in molti campi dell’attività umana. E non c’è dubbio che la musica popolare sia un terreno assolutamente privilegiato, da questo punto di vista».
Sia quel che sia, “Tribalistas” è anche un gran bel disco, zeppo di colori e di profumi di pretta impronta bahiana. Come spesso accade in questi casi, è stato concepito in maniera pressoché fortuita, secondo i canoni più classici della “serendipity”: l’arte di trovare le cose che non si cercano. Succede dunque che i tre si incrocino a casa di Carlinhos Brown, a Salvador de Bahia, per registrare una canzone da inserire dentro “Paradeiro”, l’ultimo album di Arnaldo Antunes, e da lì - chiecchiera e prova, canta e registra - ne vengano fuori una dozzina abbondante, una più bella dell’altra: che sono ora lo zoccolo duro di questo lavoro a tre voci. C’è per esempio “Carnalismo”, altra parola d’ordine destinata a durare nel tempo: che nel pensiero autentico di Marisa Monte «esplode quando qualcuno ama veramente un’altra persona, e allora vuole “fermare l’istante, insieme al suo profumo inebriante”, come dicono testualmente le liriche». C’è “Jà sei namorar”, canzone ipnotica e cantabile come pochissime altre: e proprio per questo diventata, a sorpresa, uno dei tormentoni di questa estate 2003 (e ce ne fossero sempre, di tormentoni così!). C’è poi “Lá de longe”, da lontano, che parla di una voce che si diffonde nel cosmo e ferma il tempo (ancora lui...): atmosfere quasi New Age per la canzone forse più “celeste” dell’intero album (e non è un caso che Marisa Monte la consideri un autentico mantra). E c’è ovviamente “Tribalistas”, la canzone-manifesto: che, caso curioso, è stata scritta solo dopo che era già stato enucleato e accuratamente sviscerato l’intero “nucleo teorico” di fondo.
Ora, per i nostri tre eroi, si annunciano tempi di grande impegno: per riuscire a trasformare il Tribalismo in un movimento di carattere universale, proprio come lo fu il Tropicalismo di Chico Buarque,
Caetano Veloso e Gilberto Gil negli anni Settanta. E proprio per questo hanno già messo in programma un tour europeo che toccherà anche l’Italia, in settembre. Un tour impegnativo ma breve, perché, come dice ancora Marisa Monte, «nessuno di noi ha voglia e tempo per imbarcarsi in produzioni imponenti». E’ logico e comprensibile che sia così. Infatti, in parallelo, Carlinhos Brown ha da badare anche alla diffusione dell’altro album a suo nome, “Carlito Marròn”. In cui, per la prima volta, apertamente ironizza (in lingua spagnola) con lo pseudonimo preso a prestito a inizio carriera da mister Brown: che fino a ieri pensavamo fosse James, alias “The Sex Machine”, e oggi invece scopriamo trattarsi di Rap: il Presidente dello SNCC, lo Student Nonviolent Coordinating Committee dei tardi anni Sessanta. Arnaldo Antunes deve seguire le vicissitudini del suo ultimo libro, “Palavra desordem”. E Marisa Monte, dulcis in fundo, ha forse il compito più impegnativo di tutti e tre: accudire il figlioletto Manu, nato nel dicembre scorso. Speriamo che canti come lei. |