Milano. E così, dalla sera di San Giuseppe, mercoledì 19 marzo, anche Milano ha il suo Blue Note. Inteso come jazz club, non certo come una delle “note blu” che da sempre contraddistinguono il blues, il papà alquanto naïf del jazz; e neppure come etichetta discografica, la mitica “label” fondata a New York nel 1939 da Albert Lion, che ha avuto fra i suoi eroi alcuni immortali della musica nero-americana come Sidney Bechet e Bud Powell, Thelonious Monk e Art Blakey, Eric Dolphy, Ornette Coleman e Cecil Taylor. Ma basta con le divagazioni, seppure in tema, e ritorniamo rapidamente al jazz club. Che ha una sede storica negli States, a New York, dove sono state scritte diverse pagine memorabili del jazz contemporaneo, con le performance indimenticabili dei vari Miles Davis, Thelonious Monk, John Coltrane, Duke Ellington, Charles Mingus, Bill Evans e Sun Ra. E ha poi due “succursali” in patria, a Los Angeles e San Francisco, e altre quattro in Giappone: a Tokio, Osaka, Fukuoka e Nagoya. E basta così.Il Blue Note inaugurato a Milano la sera di San Giuseppe, festa di tutti i papà del mondo, è dunque il primo non soltanto in Italia, ma addirittura in Europa. E questo innegabile motivo di vanto va ascritto, quasi totalmente, alla metodica e paziente opera di convincimento di un avvocato napoletano patitissimo di jazz, Paolo Colucci. Che nei suoi lunghi anni di lavoro newyorkese è riuscito a convincere la famiglia Bensusan, proprietaria del club newyorkese, a cedere il prestigiosissimo marchio anche alla sede milanese, vincendo la concorrenza di Londra, Parigi e Berlino. Città infinitamente più cosmopolite di Milano, ovviamente, ma anche infinitamente più esposte alla temibile concorrenza di altri club (per la sola Londra, basterebbe pensare allo storico Ronnie’s Scott Club di Soho). Ed è dunque così che, da mercoledì, il logo del Blue Note fa bella mostra di sè al numero 37 di via Borsieri, in piena “Isola Garibaldi”, sulla facciata Liberty di un’antica teleria, che all’interno è stata completamente sventrata e trasformata in un autentico tempio della musica. Con un effetto molto gradevole, in verità. La platea è ampia e ariosa, capace di 250 posti a sedere; il cibo sufficientemente appetibile (visto che anche qui, come in tutti gli altri Blue Note del mondo, si viene “anche” per mangiare); il palco molto spazioso; le pareti ricoperte con un tessuto di un color blu notte molto complice e tranquillizzante. E ai lati della sala, come è ormai tradizione consolidata di tutti i locali molto “cool”, è stato montato un soppalco che consente una visione privilegiata dell’artista ospite. Artista che mercoledì sera, e fino a lunedì 24 marzo, era Chick Corea con il suo quintetto: il bassista John Benitez, il batterista Jeff Ballard, il sassofonista (e flautista, e clarinettista) Tim Garland, il percussionista egiziano Hossam Ramzy. Mentre per il prossimo futuro sono attesi Branford Marsalis (25 - 27 marzo), Jimmy Scott (28 - 30), Nicola Arigliano (31 marzo), McCoy Tyner con il suo trio (1 - 6 aprile), il quintetto di Paolo Fresu (7 aprile), la grande Abbey Lincoln (10 - 13 aprile). E comunque, visto che anche il jazz è ormai entrato a pieno titolo nell’era del “villaggio globale”, per avere altre informazioni sulla programmazione del Blue Note basterà consultare il sito
www.bluenotemilano.com. Oppure sintonizzarsi sulla frequenza di Radio Montecarlo: che una volta alla settimana - complice il famoso dj Nick the NIghtfly, consulente musicale del Blue Note milanese - trasmetterà dal vivo la musica dell’ospite di turno.E veniamo - finalmente! - al concerto d’inaugurazione. Che certo è cascato in una serata non propriamente idilliaca, quella dell’attacco anglo-americano all’Iraq. Ma, contrariamente alle facili previsioni di molti, non una bandiera con i colori dell’arcobaleno è stata affissa alle pareti color blu notte. Non una parola, neppure di circostanza, è stata spesa a proposito di una guerra avversata dalla stragrande maggioranza dell’umanità. E questo forse perché già la musica, di per sè, contiene nel suo intimo un nucleo profondamente pacificato e pacificatore, come saggiamente suggeriva il grande “crooner” cubano Ibrahim Ferrer durante la conferenza-stampa di settimana scorsa. Sta comunque di fatto che, mercoledì sera, l’effetto straniante era al suo climax. Si arrivava al Blue Note con la mente ancora ricolma delle dichiarazioni di mister Bush e, dentro, l’atmosfera ricordava quella del Titanic prima dell’impatto con l’iceberg, con l’orchestrina che suonava (in quel caso i valzer) e le coppie che ballavano strette strette. Qui non era proprio così, la musica era diffusa dalle casse appese al soffitto, e mai i valzer hanno avuto diritto di cittadinanza nell’estetica jazz, a parte la memorabile eccezione di “My Favourite Things” di John Coltrane: non era proprio così... ma quasi. Distinti signori in abito da sera, splendide signore profumate e scollate, tanti vip o presunti tali (Renzo Arbore, Claudia Mori, Paola Turci, Gabriella Golia, Dario Ballantini travestito da Gianni Morandi per le telecamere di “Striscia la notizia”, Jo Squillo...) a sorridere amichevoli fra un tavolo e l’altro. E Chick Corea che iniziava il concerto con uno dei suoi “must” del periodo Return to Forever, “Fiesta”: «per celebrare questa inaugurazione così felice e di buon auspicio per tutti noi». Seguivano poi una “song” dedicata a Hanna, la sua mamma novantunenne (auguri!), un altro paio di brani cantabilissimi tratti dal suo repertorio più antico e felice, una serie sterminata di assoli dei vari strumentisti: in cui brillava di luce propria la fluentissima valentìa improvvisativa di Tim Garland. Buona musica, in definitiva, molto tonica e rilassante al tempo stesso. Capace di oscurare, almeno per una sera, i nuvoloni torbidi che si profilano all’orizzonte. |