attore, nato a Nakano il 17 gennaio 1952. Oppure si può prendere spunto da quel che ha scritto di lui - nella prefazione a "Conversazioni", il bel libro di Massimo Milano edito da Arcana - la più famosa scrittrice giapponese vivente, Banana Yoshimoto: "Quel che posso dire a proposito di Sakamoto riguarda un certo flusso mentale, rassicurante e melanconico, che gli scorre nel cervello. Riguarda l'energico scenario che da lì s'estende, desolato e spiritoso al tempo stesso. Nella sua musica c'è qualcosa in grado di adagiare l'animo nel suo luogo originario, nel proprio mondo. E lì, c'è sempre un immenso universo contemplativo venato di tristezza. Nel profondo scaturisce la serenità, come quando si guardano le stelle in una terra aspra e selvaggia".
Parole profetiche, o quasi, che Banana deve aver concepito dopo l'ascolto reiterato di "Beauty" (1989), forse il capolavoro assoluto di Ryuichi, o magari delle colonne sonore di "Merry Christmas, Mr. Lawrence" (1983), "L'ultimo imperatore" (1988), "Il piccolo Buddha" (1993): tutte così quiete e suadenti, un autentico viatico per la mente e il cuore. Parole che suonano ancor più dense di significato qui e ora, se solo si considera quel che sta per accadere nella galassia Sakamoto. Un disco e un tour mondiale, entrambi annunciati per settembre e incentrati su una delle musiche culto del ventesimo secolo, la bossa-nova, e sul suo compositore più significativo: Antonio Carlos Jobim.
Dice Sakamoto che il disco - "Casa", edito dalla Sony Classical - ha avuto una genesi alquanto particolare: "L'idea originaria è venuta alla cantante Paula Morelenbaum, che ha lavorato con Jobim, nel gruppo Nova Banda, negli ultimi dieci anni di vita del Maestro. Il fatto è che Paula, oltre che un'eccellente vocalist, è anche la moglie del violoncellista Jaques Morelenbaum, l'arrangiatore di fiducia di Caetano Veloso, che ha lavorato con me negli album "Smoochy" e "Life". Se a tutto questo si aggiunge la mia smisurata ammirazione per Jobim, uno dei più grandi compositori del Novecento, e la mia profonda sintonia con la dolcissima "saudade" insita nella bossa-nova, il gioco è fatto".
Il disco è bello, molto bello: pregno di quella soffusa eleganza, di quella strabiliante gentilezza interpretativa rese proverbiali, quarant'anni fa, da João Gilberto e da sua moglie Astrud. Si compone di 15 canzoni fra le più classiche dell'epoca - da "Amor em paz" a "Chega de saudade", da "Vivo sonhando" a "O grande amor" - ma è tutt'altro che un inno alla nostalgia o, peggio ancora, un'apoteosi del "come eravamo" (leggeri, colti, raffinati) in quegli anni lontani e beati. "Al contrario", dice ancora Sakamoto, "è il tentativo, spero riuscito, di trattare le canzoni di Jobim come "lied" di Schumann, come melodie di Debussy. Infatti, io e Jaques Morelenbaum abbiamo in comune sia la formazione accademica sia un debole per Schumann e Debussy (e per Bach e Beethoven, ovviamente). E credo che la "scoperta" di Jobim, così cantabile e apparentemente semplice, possa rappresentare proprio questo: il giusto anello di congiunzione fra l'estasi della classicità e la turbolenza del rock".
Narra la leggenda che già molti anni fa, quando era poco più che un ragazzo, Ryuichi abbia trovato un parallelismo analogo: la prima volta che ascoltò "Mr. Postman" nella versione dei Beatles, e subito gli venne in mente un quartetto d'archi di Debussy, "pieno di none e di armonizzazioni complesse". E' la storia che si ripete, come si vede: pur nelle mutazioni implicite in quella continua ricerca del cambiamento che Mr. Sakamoto coccola e vezzeggia come la più misteriosa delle sue Muse ispiratrici. Ed è una storia che potremo presto verificare anche dal vivo, quando Ryuichi, Paula e Jaques Morelenbaum verranno a farci visita: il 9 ottobre al Regio di Parma, l'11 al Regio di Torino, il 12 al Parco della Musica di Roma, il 14 al Manzoni di Milano. C'è da scommetterci: sarà una "Casa" estremamente emozionante e rarefatta, la loro. |