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Musica per i golosi

a cura di Francesca Mineo

 

 

 


Orishas

L'intervista

Avevano scelto il nome Orishas in onore di divinità arcaiche afro-cubane, quasi a richiesta di protezione per la loro 'missione' nel mondo, ovvero rappresentare degnamente la giovane musica cubana. Per questo, il disco d'esordio 'A lo cubano' era stato un successo mediatico, di pubblico e critica. Orishas significava Cuba di oggi e passato che non si dimentica, uomini arrivati dall'Africa con musiche e strumenti suggestivi, ma anche ritmi urbani su parole che denunciano e accusano. I temi sociali sono al centro anche di 'Emigrante' (Emi), album che, sin dal titolo, mostra la volontà di far divertire e riflettere, di far ballare e pensare.<Ci auguriamo che possano comprare questo disco tante persone quanti oggi sono gli emigranti in Europa, e a loro lo dedichiamo>, dicono i tre componenti della band di hip hop condito di salsa cubana. Tutte con una voce educata e pulita, ma declinata in stili e generi. E non sempre si tratta di R&B.

Prodotti ancora dal parigino Miko Niko, che li lanciò, Orishas oggi sono Roldan Gonzales, musicista che arriva da band di musica tradizionale e chitarrista di son (la salsa cubana), noché 'mente del gruppo. Al suo fianco Ruzzo e Yotuel, visto che il quarto 'orisha', Livan, ha lasciato la band dopo il tour d'esordio per formarne una sua. Appassionati del loro paese e per questo non meno critici, gli Orishas si lasciano andare anche a digressioni più politiche sul paese retto da Fidel Castro.

 

Che cosa racconta 'Emigrante'?

<Dopo oltre duecento concerti non volevamo ripetere lo stesso album. La visione di oggi è quella dell'emigrante cubano che ora, dopo varie vicissitudini, si insedia in Europa, ripensando però sul suo passato. Non mancano certo elementi di critica sociale, la disillusione, la tristezza..tutto questo dà colore all'album>

 

Cosa significa essere cantautore a Cuba, oggi?

<Il problema di Cuba è soprattutto l'informazione, che è ristretta e limitata. La mentalità comune cerca il sogno, coè incontrare il proprio paradiso. Abbiamo visitato molti posti nel mondo, grazie al tour e quindi paragonato ciò che accade in Europa con quello che accade a Cuba dove non ci sono soldi o economia e dove si vive con 6 dollari al giorno. Eppure, stando lontani, apprezziamo Cuba ancora di più, anche se non c'è nulla: pur senza denaro la gente può contare sul principio dell'assistenza gratuita - spiega ancora - e devo dire che non si vede per strada gente che si droga>. 

 

La vostra musica ha tratto qualche vantaggio, però…

<Certo! In Europa abbiamo avuto uno sviluppo e una crescita della nostra musica che a Cuba non sarebbe stato possibile, per le poche possibilità offerte ai musicisti. Ora però possiamo aiutare le famiglie, che vivono ancora là. E' per scelta che siamo diventati emigranti, per poter aiutare come potevamo le nostre mogli e i nostri figli>.

 

Non vi sentite dunque degli esiliati...

<A noi non piace molto il termine esilio perché, coem detto, abbiamo scelto di lasciare Cuba per ragioni professionali e di vita. Abbiamo poi realizzato un sogno: tornare a Cuba dopo il primo disco e esibirsi davanti alla nostra gente. Anzi, ne abbiamo un altro di sogno: suonare nel Teatro Carlo Marx, ma al momento ci è proibito, così come alcuni passaggi radio. Anche se sventoliamo la bandiera di Cuba, c'è timore da parte del governo per quello che possiamo dire>

 

Maturi quanto basta, obiettivi e critici il giusto: gli Orishas, nel turbine del loro album pieno di energie non mancano di puntare l'attenzione su chi sta peggio di loro.

<Ci preoccupano gli immigrati, di ogni paese, sia per quello che hanno vissuto che per quello che vivono nel nuovo paese che li accoglie. La situazione dell'emigrante è ovunque drammatica: in tutti i paesi dove si recano fa i lavori peggiori. La verità - concludono gli Orishas - è che l'Europa ha colonizzato i paesi di cui rifiuta i cittadini>

 

 

 


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