Enzo Jannacci fa la
sua apparizione trionfale sul palcoscenico del teatrino di via Olmetto. Ha addosso una giacchetta (doppio petto e sbottonata) color rosso salmone, una camicia bianca aperta sul collo, un paio di pantaloni neri. E subito il Renato (Pozzetto), che premurosamente l'accompagna insieme al Cochi (Ponzoni), lo squadra e gli fa: "Meno male che l'Armani non è qui a guardarti!". E' solo la prima di un'interminabile sequela di gag, fulminanti e surreali, che i due amiconi per la pelle rivolgono al terzo amicone di sempre, che li ha invitati qui, in questa serata specialissima, per sostenerlo a presentare "Come gli aeroplani" (Ala Bianca), il suo primo cidì dopo quattro anni di assoluto silenzio. L'album è nuovo nuovo, ma l'atmosfera ricorda da vicino quella di trenta, quarant'anni fa: quando i tre, insieme a un'audacissima compagnia di comici, cantanti, teatranti e saltimbanchi, allietavano le serate dei milanesi dai localini fumosi del Derby Club di via Monterosa. C'è soltanto, a rimarcare la differenza fra questa serata e quelle di un tempo che pare risalire al megalitico, qualche capello bianco in più, qualche acciacco di soprammercato alle lombari, qualche inevitabile lapsus della memoria nel rievocare le parole di alcune canzoni antiche. E poi, soprattutto da parte di Jannacci, un sacco di rabbia e di livore in più.
Tutte cose di cui il prode Vincenzo, in arte Enzo, ci aveva reso edotti durante la conferenza-stampa del pomeriggio. "Ci mancherebbe altro che non fossi incazzato come una bestia, soprattutto dopo gli aerei-bomba sparati contro le Twin Towers di New York!", aveva detto. "E così, io che non avevo mai fatto un disco di invettive, ho deciso che questo era il tempo giusto di farlo, di infarcirlo di tutti quei grumi di rabbia che, a sessant'anni passati, non posso e non voglio più tenere soltanto per me. E quindi ho voluto denunciare quelli che ci hanno preso per il culo tutta la vita, perché l'Italia è un paese pieno di fascisti, di furbi e di voltagabbana. E poi, in senso più ristretto, ho sparato a zero anche contro la mia ex casa discografica, la Sony, che dopo la mia partecipazione al Festival di Sanremo pretendeva che facessi soltanto un album di "cover" delle mie cose vecchie, e non prendeva neppure in considerazione la possibilità che incidessi le tante canzoni nuove che avevo pronte da anni. Mi sono sentito umiliato e frustrato, inutile negarlo. E questo ha fatto lievitare ancora di più la mia incazzatura!". Bizzarria delle case discografiche... Che non si sono neppure accorte che "Come gli aeroplani" - sulla cui copertina Jannacci ha volute mettere la foto di suo padre aviatore, "un uomo fantastico, che mi ha sempre insegnato l'altruismo e il rispetto per i poveri e i bisognosi" - è, di gran lunga, il miglior album realizzato da Jannacci da tre lustri in qua. Ma lasciamo perdere...
Lasciamo perdere, e ritorniamo rapidamente alla serata di giovedì: piena di nostalgia e di ricordi struggenti, più che di ira funesta. E infatti il Renato, che dei tre è di gran lunga il più vispo, continua a stuzzicare l'Enzino a essere un pochino più... "lughito". "Madonna come sei depresso!", gli dice fra il serio e il faceto con il suo delizioso accento milanese-varesotto, mentre il Cochi lo spalleggia come meglio non potrebbe. "E dai, tira fuori un po' di coglioni... e anche qualche canzone un po' più sostanziosa!". E allora l'Enzino, che ha l'aria di trovarsi perfettamente a suo agio in questo turbinìo di punzecchiature e lavature di capo, comincia a mettere insieme il meglio delle sue cose vecchie e nuove. Per esempio "Brutta gente", violentissima invettiva contro i "mercanti che solcano il mare / facendosi scudo dei loro bambini / per qualche migliaio di lire / e la patente di assassini". Oppure "Cesare", modellata sugli stilemi dell'antico canto popolare lombardo, un po' come era stata a suo tempo "Fiorisci bel fiore", che parla di un partigiano chiamato anche "Garibaldi": "alto, bello, bruno, occhi azzurri, biondo...". Oppure ancora la struggente "Lettera da lontano": straordinario messaggio di autocoscienza redatto in forma di canzone.
C'è anche il tempo di ripassare, in trio con il Renato e il Cochi (che ne sono anche co-autori), l'esilarante marcetta di "Libelà": "Se c'hai vergogna porta tua sorella / che è brutta, ma è snella / nella penombra sembrerà una stella / per cui venite tutt'e due di là" (e non è certo difficile immaginare dove sia, questo "di là"...). E soprattutto c'è il tempo, per l'Enzino, seduto solo soletto al pianoforte, di rivisitare un classico immortale di Fabrizio De Andrè, "Via del Campo". Che lui aveva già rifatto
a Genova, in occasione del "Tributo a Fabrizio", ed era venuta talmente bene - così diversa dall'originale e, al tempo stesso, così profondamente fedele al suo spirito di fondo - da trovare immediatamente posto su disco. E anche in questa
serata. Così struggentemente divertente, così surrealmente nostalgica.
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