immancabilmente assume la forma esteriore di un disco
E ogni
tanto - anzi, ogni tantissimo - la prima domanda che sempre le viene
rivolta è la seguente: "Diamo il benvenuto a questo nuovo album,
signora Enya: ma quando potremo finalmente salutarla di persona anche
in concerto?". Al che lei, sfoggiando il migliore dei suoi
sorrisi, ovviamente sublime, risponde più o meno così: "L'anno
prossimo, sicuramente, perché adesso sono troppo indaffarata nella
promozione del mio nuovo disco". Poi gli anni passano, uno più
veloce dell'altro, e non succede proprio niente. Enya se ne sta
rinchiusa nel suo "buen retiro" di Killeney, contea di
Dublino, ad ascoltare musica operistica - "La traviata" e la
"Madama Butterfly", soprattutto - e qualche classico della
tradizione irlandese. Poi comincia a girovagare per il mondo, alla
ricerca di altre fonti di ispirazione per il nuovo disco che verrà. E
alla fine si richiude di bel nuovo in sala d'incisione - la sua
personale, ovviamente, costruita dentro lo sterminato giardino di casa
- per dare forma e sostanza alle melodie che le frullano per la testa.
E dei concerti annunciati, neanche più l'ombra. Niente di niente,
finchè non le capita di imbattersi in un'altra conferenza-stampa e
nella solita domanda d'avvio: "Quando potremo finalmente
ammirarla anche in concerto?".
E' andata così anche qualche giorno fa, a Milano, quando Enya si è
materializzata a sorpresa per illustrare a un ristrettissimo manipolo
di scritturali tutte le qualità e le virtù della sua ultimissima
fatica: "A
day without rain", appena edito dalla Wea. E quando uno dei
convenuti le ha rivolto la domanda di prammatica, lei, per una volta,
non si è limitata a rispondere con uno dei suoi impagabili sorrisi,
ma è stata un pochino più esplicita e precisa: "Ho già
iniziato i preparativi per l'allestimento di un "evento
unico", che verrà ripreso da una società di produzione
televisiva - la PDS - e poi distribuito in ogni angolo del mondo.
Sarà un avvenimento davvero speciale, perché per l'occasione
verranno approntate una sontuosa scenografia e una grande orchestra
d'archi. Ma per quel che riguarda un tour vero e proprio, per teatri e
sale da concerti, sono purtroppo costretta a rispondervi che non è
ancora il momento. E' il tempo, quel che mi manca...".
Ma il tempo, signora Enya, è uguale per lei e per tantissimi altri
colleghi suoi. Anche loro, in fin dei conti, devono registrare dischi
e poi promuoverli e incontrare la stampa. Eppure, di concerti ne fanno
a raffica...
"E'
vero, il tempo è davvero un giudice inflessibile: è uguale per tutti
noi. Ma non credo che in giro ci siano molti artisti coinvolti quanto
me nel processo di produzione di un album... Io lavoro a strettissimo
contatto di gomito con il mio "team" di sempre, composto da
Nick e Roma Ryan, ma in fin dei conti faccio tutto quanto da sola,
dall'inizio alla fine: i testi, le musiche, gli arrangiamenti, perfino
la copertina e il "packaging" del disco. Tanto per darvi
un'idea, ho cominciato a lavorare a quest'album nell'estate del 1998 e
ho finito nel settembre di quest'anno. E non è che in questi ventisei
mesi sia rimasta con le mani in mano, visto che la mia giornata tipica
si svolge tutta in studio, dalle 10 del mattino fino alle 7 di sera,
cinque giorni su sette. Forse sono un'inguaribile perfezionista... ma
che devo fare di più?".
Proprio
niente, signora, ci mancherebbe altro. Ma forse la soluzione di tutti
i problemi sarebbe quella di delegare qualcosa a qualcuno...
"Non
se ne parla neanche! Io voglio avere il controllo totale su tutto ciò
che faccio! La tecnologia, per esempio... Io, nel mio studio, sono
circondanta da un mare di tecnologia: tutta roba modernissima e
avanzatissima, che mi piace un mondo e apprezzo in pieno. Eppure, il
mio modo di registrare è rimasto "antichissimo", perché
non procedo per sezioni ma con l'orchestra intera, come se fossi in
concerto. E questo procedimento è molto dispendioso, in termini di
tempo...".
E'
vero. E allora ci parli un po' di questo suo nuovo disco: il titolo,
innanzi tutto...
"Ah,
quello è proprio semplice. Fa riferimento all'umore che aleggia in un
giorno sereno, senza pioggia. E in Irlanda piove così tanto, in tutte
le stagioni... Abbiamo avuto tantissimi giorni in cui non ha fatto
altro che piovere, proprio come oggi a Milano! Ma un giorno,
finalmente, è uscito il sole, che mi ha ispirato la canzone che dà
il titolo all'album. Come altro avrei potuto chiamarlo?".
Nel
suo album, infatti, c'è una sorta di prevalenza del sole, della
luce...
"Sono
completamente d'accordo. Mi piace registrare al mattino, dopo aver
fatto quattro passi in giardino e aver osservato la natura che si
risveglia, il sole che fa capolino, gli uccelli che cominciano a
cinguettare... Nel mattino, infatti, sono concentrate al massimo la
positività e le potenzialità dell'intera giornata. E mi fa un enorme
piacere constatare che questo "messaggio di luce" sia
arrivato esplicitamente fino a voi, perché sono convinta che la luce
e l'amore siano gli ingredienti fondamentali della nostra vita. Valori
senza i quali ogni esistenza sarebbe terribilmente triste!".
I
testi delle sue canzoni a volte sono in inglese, altre volte in
gaelico o addirittura in latino. Come mai?
"Dipende
dall'ispirazione del momento, e non c'è davvero nulla di
predeterminato in ciò che faccio. A volte riascolto la melodia che ho
già preparato, e mi accorgo che si sposerebbe benissimo con un testo
in gaelico: una lingua che continuo a parlare correntemente quando
ritorno in famiglia. Altre volte, invece, qualcosa mi dice che
l'inglese, o addirittura il latino, potrebbero andare meglio: e allora
mi comporto di conseguenza...".
A
proposito di famiglia. Mantiene ancora qualche legame con i Clannad,
la sua gloriosissima "family band"?
"Certo
che sì, anche se ora, per ovvii motivi, questi legami sono alquanto
più allentati che in passato. Ma i Clannad rimangono sempre nel mio
cuore: perché, per me, "la" tradizione irlandese sono
loro!". |