"La notte di San Lorenzo", a
Cascina Monluè: dove
è previsto il concerto di Susana Baca. Le alternative sono molte, e tutte
sfiziose. Ci sono per esempio, a Villa Arconati, i gitani di mezzo mondo,
primi fra tutti i formidabili Taraf de Haidouks di Romania. C’è, all’Idropark
Fila dell’Idroscalo, il primo appuntamento con il Festival del Blues,
che si fa forte del leggendario, inossidabile John Mayall. C’è infine,
al FilaForum di Assago, il solito caravanserraglio di musica
latino-americana, sempre molto colorata, divertente, coreografica. Ma,
insomma, la Baca è pur sempre la Baca: e non soltanto perché è la prima
volta che compare in concerto a Milano, e perderla sarebbe un vero
delitto. Ma soprattutto perché, di lei, il "New York Times" ha
recentemente scritto le seguenti, eloquenti parole: "La voce soave e
distinta di Ms. Baca ha lo stesso splendore pulito di tante cantanti pop,
ma ha la forza di creare un suo personalissimo stile. Una sua propria
tradizione". E’ la medesima impressione - "un’artista
straordinaria, visionaria come poche altre" - che dichiara di aver
avuto il grande
David
Byrne al suo primo impatto con la señora, e che l’ha convinto a
produrre i due dischi più facilmente rintracciabili qui in Occidente:
"Susana Baca" ed "Eco de sombras" (Luaka Bop). Dunque,
conviene verificare quel che accade dal vivo.
La
prima cosa che accade, al calar della sera di venerdì 13 luglio, è un
fuori-programma drammatico ed esilarante al tempo stesso: centinaia di
persone che si agitano come burattini impazziti, e sventolano qualunque
oggetto a portata di mano per difendersi dagli attacchi delle
zanzare-stukas di cui sopra. La seconda è una brevissima quanto
succulenta anticipazione di quel che succederà la sera dopo, sabato 14: e
cioè una una folgorante apparizione dei Bottari di Portico di Caserta,
che per una decina di minuti ci deliziano con i loro ritmi a volte
forsennati e ossessivi, altre volte lenti e meditabondi, percuotendo botti
e tini di augusta, formidabile possanza. E la terza cosa che accade è -
finalmente - quella che ci ha condotto fin qua, in questo angolino dell’estrema
periferia milanese ritagliato fra la tangenziale est e la pista dell’aeroporto
di Linate: e va in scena alle 10 in punto, quando le fameliche zanzare se
ne vanno a dormire, dopo aver fieramente divorato il loro abbondantissimo
pasto. Sul palco sale dunque Susana Baca, e la scena cambia come dalla
notte al giorno.
La
señora peruviana dall’età indefinibile (avrà cinquant’anni, o
magari quaranta, o forse addirittura sessanta? chissà...) fa la sua
apparizione con una grazia davvero sublime, quasi d’altri tempi,
circondata dai suoi quattro abituali musicisti: un chitarrista, un
contrabbassista e due percussionisti. Ha i capelli cortissimi, una lunga
tunica bianca, uno sciallo candido morbidamente drappeggiato sulle spalle,
e, ovviamente, i piedi nudi. Proprio come
Cesaria
Evora, The Barefoot Diva. Inizia a cantare uno dei suoi hit più
celebrati, "Negra presuntuosa", e lo fa con una tale dolcezza,
con un senso della melodia così straordinariamente profondo e
accattivante su un tappeto morbidissimo di percussioni, che ritornano
subito alla mente le parole con cui lei stessa si era presentata qualche
anno fa al pubblico delle metropoli d’occidente. Eccole: "E’ il
ritmo, solamente il ritmo, ciò che muove il mio cuore? E’ il puro ritmo
delle parole, la cadenza delle note che fluiscono dentro le canzoni, ciò
che dà impulso a questa nostalgia che mi chiama? E il ritmo, può avere
memoria, può viaggiare attraverso il tempo e rendere nuovo l’antico?
Può accarezzarci dolcemente, e riportarci la memoria di altre notti
lontane? Può possedere un sentimento profondo, e farci danzare dentro la
nostra pelle, e farci sentire vivi e felici?".
La
risposta è una sequela infinita di sì!!!, ovviamente. E sono proprio
tutti questi sì!!! reiterati e convinti a fare di questa señora di
Chorillos - il quartiere alle porte di Lima che un tempo non lontanissimo
era ancora una comunità di schiavi - una delle chanteuse più
interessanti e ammalianti dei nostri tempi. Una sorta di Billie Holiday
dell’America del sud, capace di prendere la vita di tutti i giorni e di
sussumerla a viva forza dentro le sue canzoni. Capace di afferrare i ritmi
della "black culture" del Perù più antico e misterioso -
quelli delle processioni religiose, delle filastrocche raccontate dai
nonni ai nipotini, delle cadenze poetiche alla ricerca della
"quadratura" perfetta - e di farli rivivere tutti insieme, in
perfetta sintonia con il ritmo più ancestrale di qualunque altro: quello
del cuore, suo e nostro.
E
accade così che la señora Baca, per riprendere il suo pensiero
originale, riesca a vincere la sfida più eclatante che ha intrapreso con
se stessa e con il mondo intero: "la sfida di trovare il vero ritmo
della libertà: un qualcosa di simile al vento che permette a un uccello
di volare, o a un nuovo linguaggio ben più potente delle parole di
afferrarti e di portarti con sè". E che le sue canzoni - "Zamba
malatò", "De los amores", "Los amantes",
"Valentìn", "Molino molero", una strepitosa versione
di "Luna llena" - svolazzino nell’aria con la stessa soave
delicatezza di una brezzolina estiva, e richiamino alla mente la medesima,
visionaria levità con cui Bob Dylan ha voluto affidare le sue risposte al
vento. E che per una voce così, tanto soavemente distillata e
"cool", sia valsa la pena di affrontare anche l’impatto
terrificante di milioni di zanzare-stukas. Certo che sì! |