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Musica per i golosi

a cura di Francesca Mineo

 

 

 


Rap

Potrà magari sembrare ieri, tanto il tempo è corso veloce, ma la storia comincia la bellezza di venticinque anni fa. Un quarto di secolo - e magari qualcosina in più - da quando il rap fa la sua prima, sconvolgente apparizione nelle strade malfamate del Bronx, il ghetto nero di New York. 

Già allora il quartiere godeva di una fama straordinariamente sinistra, alimentata ad arte da truculente caricature cinematografiche come "Bronx Warriors" e "Fort Apache: the Bronx", e non possedeva neppure l'ombra dell'appeal politico e culturale di cui godeva la vicina Harlem (per non dire del benessere materiale di altre zone del centro di Manhattan, ovviamente).Ma proprio per questo, forse, era in grado di stimolare l'ingegno e l'immaginazione creativa dei ragazzi del luogo: primi fra tutti i disc-jockey. 

E fra questi - forse lo ricorderete ancora - svettava il gigantesco Afrika Bambaataa, l'ex leader dei Black Spades, la più grande band nera della New York di fine anni Sessanta: un dj dall'aria trucidissima, che aveva mutuato il suo nome d'arte (il cui significato letterale è Capo Affezione) da un gran capo Zulù del diciottesimo secolo, e l'aveva prontamente utilizzato per aggregare una folta massa di teen-ager dentro una vera e propria organizzazione "estetico-politica": la Zulu Nation.

Erano almeno dieci anni - gli anni di tutti i movimenti per i diritti civili e del primo Black Power - che Bambaataa si era messo in testa l'idea meravigliosa di creare una "nazione" a sua immagine e somiglianza, e in questo modo ce ne racconta la genesi. "La Zulu Nation: ecco l'idea._Mi è venuta vedendo un film con Michael Caine intitolato "Zulu", in cui questi eroici uomini africani si opponevano ai britannici che volevano rubargli la terra. Erano guerrieri straordinariamente fieri, gli zulù, e combattevano coraggiosamente contro pallottole, cannoni e tanta altra robaccia del genere. A un certo punto della storia i britannici pensano di aver vinto, ma proprio allora si vede un'enorme montagna interamente coperta di zulù, e allora gli inglesi si rendono conto che per loro è finita. Ma gli zulù, invece di combattere, si mettono a cantare: li onorano come guerrieri e risparmiano loro la vita. Ecco da dove ho preso l'idea di formare la "mia" Zulu Nation".

Bene. Se questa è la "Weltanschauung" esplicitamente sottesa alla Nazione di Bamb - il potere del canto che annienta quello delle armi - la sua "filosofia musicale" deriva invece, direttamente, dall'evoluzione della disco-music dei primi anni Settanta: quella di "Saturday Night Fever" e John Travolta, per dirla in due parole. I disc-jockey, allora, avevano un compito molto semplice da svolgere alla console: si limitavano a mixare un disco dopo l'altro, a far coincidere i tempi fra dischi diversi in modo da produrre un flusso musicale estremamente regolare e armonioso.

Che, nel migliore dei casi, avrebbe modificato in continuazione l'atmosfera della pista senza creare spiacevoli "salti" fra una canzone e l'altra, e invece, nel peggiore, avrebbe trasformato la serata in una canzone sola, terribilmente noiosa, interminabile. Il pericolo incombeva dappresso, e l'intero filone della disco stava già trasformandosi in una stomachevole melassa di noia e ripetitività, con quegli insopportabili Bee Gees a fare da colonna sonora all'intero globo terracqueo, quando all'improvviso, imprevista e imprevedibile, cominciò a farsi largo quella che fu poi definita, un po' enfaticamente, "la rivoluzione del Bronx".

La Rivoluzione prese le mosse dal "break", la sezione della canzone in cui la batteria fa la parte del leone, e lo estese all'infinito._Lo fece diventare un vero e proprio pezzo strumentale, utilizzando lo stesso brano suonato su due giradischi paralleli: di modo che, quando finiva il "break" sul primo, partiva immediatamente il secondo, e poi via di nuovo il primo, ad libitum, con un travolgente effetto ipnotico sui ballerini in pista. E tutto funzionava a meraviglia anche perché, quasi subito, grazie all'intuizione di un altro grande guru del primissimo rap, Grandmaster Flash, al "break" cominciò ad aggiungersi anche lo "scratch": cioè l'abilità di "far cantare" il disco muovendolo rapidamente avanti e indietro con le dita sullo stesso battito, mentre il volume era sparato al massimo possibile dei decibel. 

Questa tecnica si trasformò ben presto in un'arte vera e propria, come spiega un ignoto ammiratore di Grandmaster Flash a proposito del suo idolo: "Lui è capace di suonare i dischi con i gomiti, con il mento, con i piedi, ammanettato, bendato. Sa fare i "beat" anche con un giradischi solo. E' un genio del giradischi. E' capace di di mettere il giradischi in terra e di "scratchare" con gli alluci... 

Ragazzi, può continuare a "scratchare" finché il disco non si buca!". Non bastasse, questa nuova moda contribuì a dar vita a un abbigliamento alquanto originale - un'immagine frammentata di durezza e trasandatezza, in cui si combinavano abiti sportivi e casual - e a uno stile di danza enormemente competitivo. Ricorda il musicologo inglese David Toop, raffinatissimo critico del "Sunday Times" e "The Face": "La competizione era il cuore dell'hip-hop: non solo servì a eliminare violenza e droghe devastanti come l'eroina, ma incoraggiò un atteggiamento basato sull'utilizzo creativo di risorse limitate. Le scarpe da ginnastica divennero capi d'alta moda; con due giradischi, un mixer e pochi dischi misteriosi (e segretissimi) veniva prodotta della musica originale; il genere di linguaggio esibizionistico, che ogni ragazzo nero era in grado di impiegare contro un rivale, divenne fonte di grande spettacolo".

Il linguaggio, appunto. Gli esegeti del genere sostengono che, ben prima di Afrika Bambaataa e Grandmaster Flash, il primo rappatore duro della storia fu il leggendario Cassius Clay, in arte Mohammad Alì._Che nel lontanissimo 1964, in vista del suo primo incontro con Sonny Liston per il titolo mondiale dei massimi, coniò insieme al suo sciamano personale Bundini Fastback Brown un rap tanto semplice quanto efficace, da sibilare nelle orecchie dell'avversario durante tutto il combattimento: "Sonny Liston è grande / ma all'ottava va giù" (e vi lasciamo indovinare in quale ripresa il tremendo Sonny, un ceffo dalla potenza terrificante, crollò al tappeto...). 

E, d'altra parte, questi "gimmick" linguistici non sono certo una novità assoluta: paiono anzi tratti di peso da una poesia molto in voga fra i neri d'America, "Signifying Monkey", in cui la scimmia imbrogliona (Mohammad Alì, se il paragone vi stuzzica) inganna il leone (Sonny Liston) con la sua parlantina forbita. Eccola: "Per un po' di tempo non era successo niente / e allora la Scimmia pensò di fare uno dei suoi giochetti di merda / Era una bellissima giornata d'estate / e la Scimmia disse al Leone: "C'è un figlio di puttana grande e grosso che sta dalle tue parti"_/ E poi ancora: "Hai presente la tua cara mamma? / Tutti se la possono fare, per un bicchiere di birra"".

In gergo tecnico, queste poesie narrative sono chiamate "toast" (o anche "signifying" e "dozens", a seconda dell'area geografica e della virulenza espressiva). Sono storie in versi, spesso lunghe e contorte, che vengono raccontate soprattutto fra uomini, e costituiscono l'humus vitale dal quale è germogliato il rap. Come ci ricorda ancora David Toop, "violente, scatologiche, oscene, misogine, queste poesie sono servite per anni a far passare il tempo in situazioni di noia forzata, in prigione come nell'esercito e nella vita di strada". 

Da qui, svariati anni prima della nascita "ufficiale" del rap (che quasi tutti fanno risalire alla prima incisione della Sugarhill Gang, "Rapper's Delight"), le ha estratte a viva forza quel geniaccio iconoclasta di Frank Zappa nelle sue salmodie più oltraggiose._Tipo "Dinah-Moe Humm", per intenderci, una fanciulla tutta sesso che il Grande Porco ricorda così: "Le ho tolto le mutande e addrizzato il mio pollice / e praticato una rotazione sul suo clitoride / ho spinto e accarezzato finchè il polso non mi si è indolenzito...". 

Da qui le hanno riprese praticamente tutti i rappatori - neri e bianchi, newyorkesi e californiani, politicizzati e delinquenziali - che hanno calcato le scene in questi ultimi cinque lustri della nostra vita: Public Enemy e Ice Cube, Fat Boys e Salt 'n' Pepa, Shabba Ranks e Vanilla Ice, M.C._Hammer e Dream Warriors, Beastie Boys e Run-DMC, LL_Cool J e Dr Jeckyl & Mr Hyde, Snoop Dogg e Kurtis Blow, Puff Daddy, Tupac Shakur e Notorious B.I.G. (i due rappatori assassinati nel 1996 e 1997, ai quali il regista Nick Broomfield ha dedicato il suo ultimo film, "Biggie and Tupac", appena presentato al Sundance Film Festival). E poi, dulcis in fundo, gli indimenticabili Nine Inch Nails, ai quali dobbiamo queste delicatissime liriche: "Sono un omone e ho un pistolone / Mi sono trovato una squinzia e mi voglio divertire / Premilo contro il muso e te lo farò succhiare / Ti faccio un buco in testa, posso fare di te ciò che voglio / Ti posso sbranare, sono potente, duro come l'acciaio_/ Vieni, vieni, vieni / Io ti vengo da tutte le parti, io e il mio fottuto pistolone".

Di fronte a simili voli scatologici, non può certo sorprendere che le donne siano state (e siano tuttora) enormemente minoritarie, dentro il mondo lividamente misogino del rap. Se il loro ruolo nella società pare fulmineamente definito dal titolo di una famosissima canzone dei 2 Live Crew ("Get Off My Dick and Tell Yo Bitch to Come Here": va' fuori dai coglioni e dì alla tua puttana di venire qui), il loro elenco si limita a pochissimi nomi: Sister Souljah (attiva con i Public Enemy), Yo Yo (la protetta di Ice Cube), Ms DJ Rap It Up, Roxanne Shanté, Queen of Rox, Queen Latifah (che in arabo, paradossalmente, significato "delicato e sensibile"). 

Eppure, a dispetto di queste evidentissime anomalie, non pare certo azzardata la descrizione che ha fatto del rap Richard Griffin, in arte Professor Griff: "Hai presente come gli egiziani raccontavano le storie sui muri delle piramidi? Hai presente come i cinesi insegnavano le storie ai loro figli per mezzo del kung-fu, del karate, raccontando storie diverse con mosse diverse? Il bisnonno del tuo bisnonno fece questa mossa perché in quel periodo combatteva quelle persone - raccontavano così la storia. Ecco, penso che il rap stia facendo lo stesso con i neri. Sta prendendo il posto della scrittura sui muri. Sta prendendo il posto delle mosse di kung-fu". Che abbia ragione?

Roberto Gatti

 

 

 


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