vede, i monosillabi piacciono un sacco al grande compositore londinese).
Due anni (e otto chili abbondanti) sono trascorsi da quel giorno, e ora Mr. Gabriel è di nuovo fra noi, in un locale nuovissimo (e tremendamente àlgido) del centro milanese, per presentarci il suo nuovo lavoro edito dalla Virgin, già da tempo descritto come "un succedersi di "up and down", molto più a suo agio con la verticalità piuttosto che l'orizzontalità". E' rasato a zero e alquanto sovrappeso, il grande demiurgo della World Music (gli otto chili abbondanti di cui sopra). Al mento sfoggia un lungo pizzetto bianco da mandarino cinese, e, addosso, ha una lunga palandrana color blu notte, abbottonata sempre in stile cinese. E' un abbigliamento curioso, lo stesso che aveva esibito la sera prima nel concerto all'Alcatraz: che pare fatto apposta per "pilotare" la prima domanda della conferenza-stampa. E infatti...
Mister Gabriel, da come la vediamo vestita, sembra quasi che lei abbia trascorso tutti questi anni a studiare da guru...
"Ma no, ma no! (ride). Del guru ho soltanto la barbetta, ma tutto il resto è tale e quale a prima. Compresa la mia curiosità di guardarmi attorno, alla ricerca di stimoli smepre nuovi. Compresa la mia ormai proverbiale lentezza lavorativa, che è poi la causa fondamentale dello "scippo" che ho subito con "Up"...
Scippo?!?
"E' un termine che uso in maniera scherzosa, è ovvio, ma che in un qualche modo fotografa bene quel che è successo. Io amo moltissimo i titoli fulminanti, basterà ricordare "So" e "Us", e dieci anni fa mi venne in mente di confidare a Michael Stipe, il leader dei Rem, che avrei voluto chiamare "Up" il mio prossimo disco. Risultato: i Rem uscirono qualche tempo dopo con un disco chiamato "Up", e Ani Di Franco con "Up, up, up", addirittura. Ma non mi lamento, perché ora, leggendo di seguito i titoli dei miei tre ultimi album solisti, vien fuori la frase "So us up", e cioè qualcosa del tipo: "Allora siamo pronti". Mica male, no?".
E la luna? Lei ha deciso di far uscire "Up" in tutto il mondo sabato 21, cioè il giorno del plenilunio di settembre. Come mai?
"Per cercare di richiamare l'attenzione a quel che generalmente viene dimenticato, omesso, rimosso. Un po' come quando si guida, e sembra che il mondo intero sia solo quello che scorgiamo attraverso il parabrezza. Non è così, c'è un intero universo sopra e sotto di noi. La luna e l'acqua, per dirla in termini simbolici, e cioè i due elementi di cui è pregno "Up" fin dall'immagine di copertina. Che infatti riprende la mia immagine riflessa in alcune gocce d'acqua".
Anche gli studi della Real World, a due passi da Bath, galleggiano letteralmente sull'acqua...
"Già, perché anticamente era la sede di un mulino e sotto lo studio principale scorre ancora un fiumicello. Io stesso vivo in una casa sul fiume, e spesso mi capita di arrivare in sala di registrazione in canoa. E perfino la musica che componiamo ha una segreta relazione con il fiume, tant'è vero che ho in mente di inviare il mio disco a diversi musicisti in giro per il mondo che abbiano un feeling profondo con l'acqua, affinché possano realizzare una versione dei "Up" per il Nilo, un'altra per il Gange, un'altra ancora per il Rio delle Amazzoni... Mi piace l'idea!".
Ma in "Up", molto più prosaicamente, c'è anche una canzone - "The Barry Williams Show" - che esplora i limiti della cosidetta "tivù verità"...
"Certo, quel tipo di televisione in cui, secondo il gergo dell'informatica, "se entra spazzatura, esce spazzatura". E' proprio questo il corto-circuito dal quale dobbiamo cercare di uscire. Ed è anche per questo, forse, che ci metto così tanto tempo a realizzare dischi...".
Un'ultima curiosità, mister Gabriel. Che cosa pensa del fatto che Bruce Springsteen, nel suo ultimo disco, abbia inserito anche un estratto di canto "qawwali", a quasi vent'anni di distanza da quando lei lo fece conoscere al mondo grazie all'indimenticabile Nusrat Fateh Ali Khan?
"Ne sono felice, straordinariamente felice! Perché, vede, Bruce è situato proprio al centro della cultura americana, e il fatto che abbia avuto quest'idea, soprattutto dopo l'11 settembre, significa che qualcosa si sta muovendo in quel mondo apparentemente immobile. E' solo un primo passo, certo: ma straordinariamente significativo".
Così parlò Peter Gabriel, la mattina di martedì 17 settembre, dopo aver riempito l'Alcatraz di via Valtellina, la sera prima, di un paio di migliaia di fans entusiasti. E' stato uno show-case dilatato, il suo, più che un concerto vero e proprio. Messo a punto per presentare alcune canzoni del nuovo album - "Darkness", "Growing Up", "No Way Out", "My Head Sounds Like That" - accanto a successi del passato recente e remoto: "Red Rain", "Digging in the Dirt", "Sledgehammer", una versione commovente di "Father and Son". Con Gabriel, sul palco, collaboratori vecchi e nuovi. Fra i primi, i soliti, straordinari, Tony Levine (basso), David Rhodes e Richard Evans (chitarre e flauto), Gad Lynch (batteria). Fra i secondi, la sensazionale tastierista Rachel Z e la vocalist Melanie Gabriel, figlia di tanto padre. Un'ora e mezza di musica al calor bianco, senza effetti speciali (novità pressoché assoluta, questa) e con i musicisti quasi immobili sul palco. Un po' a causa degli spazi ridotti, e molto (forse) per quegli otto chili messi in pancia negli ultimi anni. Sarà così anche per il tour prossimo venturo, ancora da organizzare, per altro?
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