come sempre accade alle genti Quechua, discendenti diretti degli antichi
Incas. Da qualche anno a questa parte divide il suo anno solare in due metà esatte, spendendone una a Parigi e l'altra nel borgo natio di Potosi, nel nord della Bolivia. Le piacciono le frasi taglienti e tranchant, come quella riportata in epigrafe al programma dell'ultimissima edizione di Festate, la bella rassegna di world music ambientata a Chiasso: "Un popolo che non danza e non canta più è un popolo che muore". E sorge il sospetto che questo efficacissimo aforisma, certamente creato per difendere le tradizioni ancora vive del suo popolo, si possa facilmente estendere anche alle metropoli contemporanee, e addirittura a quelle genti che "sembrano" cantare e ballare, magari sui ritmi asfissianti della techno, ma che in realtà hanno perso completamente ogni legame con le proprie "radici". Ma questa, forse, è soltanto una nostra illazione.
Un'altra frase che le piace molto, e che - da sola - dà un'idea precisissima della sua filosofia di vita, è la seguente: "Non è la terra che ci appartiene: siamo noi che apparteniamo alla terra". E sarebbe davvero una gran bella cosa che un principio così semplice, così universale ed ecumenico, cominciasse a sfiorare le menti di tutti coloro che violentano sistematicamente nostra Madre Terra, "Pacha Mama", come la chiama Luzmila: magari - è notizia di questi ultimissimi giorni - anche quei membri del Parlamento brasiliano che si apprestano a votare un progetto di legge teso a ridurre la selva amazzonica al 50 per cento della sua estensione attuale.
Sono questi, anche questi, i temi che la Señora canta da anni al cospetto delle genti di mezzo mondo. Con quegli strumenti - il "quena", il "siku", il "charango", originariamente costruito con la corazza dell'armadillo, ora fortunatamente rimpiazzata da una normale cassa armonica di legno - che si perdono nella notte dei tempi. Con quelle melodie dolcissime che sembrano provenire direttamente dal Sole e dalla Luna, "il nostro Padre e la nostra Madre celesti ". Con quella voce angelica capace di catturare sovracuti impensabili, del tutto irraggiungibili da noi comuni mortali, che le hanno valso il soprannome, del tutto meritato, di "Usignolo delle Ande".
Signora Carpio, una voce del genere - così acuta e trillante - è una caratteristica solo sua, oppure appartiene alla tradizione del suo popolo?
"Un po' l'uno e un po' l'altro, direi. La mia cara mamma, che era una grandissima cantante, diceva sempre che dovevo allenare la mia voce fino a farla diventare sottile come un capello, e magari anche qualcosa di più. Ricordo che per ore e ore mi faceva cantare in questo modo, e mi stava ad ascoltare con grandissima pazienza, e mi riprendeva quando sbagliavo. Tutto questo processo, ovviamente, è parte integrante della nostra tradizione, in cui la voce della donna è il "mezzo di trasmissione" per eccellenza delle conoscenze di un intero popolo. Proprio per questo dicevo, in precedenza, che nel mio canto sono presenti aspetti sia generali che specifici miei".
E la voce, nella tradizione sciamanica, è anche un formidabile strumento terapeutico...
"E' vero! Proprio perché noi abbiamo un rapporto molto diretto e immediato con la natura: la rispettiamo, la assistiamo, le parliamo. Per noi è assolutamente "naturale" - e mi perdoni il bisticcio - dialogare con le cascate, con i fiumi e i torrenti; con Sirino, lo spirito dell'acqua. Noi conosciamo il canto delle piante, del frumento che matura, delle patate che crescono, delle pietre che ci assistono. Noi conosciamo il linguaggio degli uccelli, del pappagallo e del condor: e proprio perché lo conosciamo possiamo entrare in contatto con loro, cantare con loro, dialogare da pari a pari. E' la radice della nostra spiritualità, questa. Una spiritualità che va difesa e diffusa a tutte le persone di buona volontà".
Allora le farà piacere vedere quanto questi concetti, e lo stesso termine Pacha Mama, siano ormai diffusi nel movimento New
Age...
"Certo che mi fa piacere, perché questo è il sintomo alquanto evidente di un inizio di rivolta contro il materialismo e la materialità, contro la tristezza, la depressione, il senso di morte. Spero anzi che questi sentimenti si accrescano sempre più, perché bisogna fare qualcosa - presto, molto presto - per migliorare la qualità dell'aria e dell'acqua, per impedire lo scempio continuo della natura".
A questo riguardo: come fa a rapportarsi direttamente con la natura ora che, per sei mesi l'anno, vive in una metropoli come Parigi?
"E' molto semplice. Appena sveglia, il mattino all'alba, apro le finestre della mia stanza e comincio a parlare con l'aria, con gli alberi che mi stanno davanti, con nostro Padre Sole per la nuova giornata che ci regala. Non è difficile, mi creda, perché Pacha Mama sta dappertutto. Anche in una metropoli perennemente assediata dal traffico e dai rumori".
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