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Musica per l'anima

a cura di Roberto Gatti

 

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Nino Rota

Potrà sembrare strano (o forse no) che un festival dedicato a Nino Rota si svolga a Mosca invece che a Milano - la città che gli aveva dato i natali, il 3 dicembre 1911 - oppure a Roma, dove il Maestro aveva lavorato tutta la vita, prima di spegnersi il 10 aprile 1979. Potrà sembrare strano - dicevamo - ma così vanno le cose in questo bizzarro paese. E dunque, per assistere all'ottima rievocazione di colui che Federico Fellini aveva esplicitamente definito come "la musica", e Miklòs Ròsza (l'autore delle celeberrime colonne sonore di "Giungla d'asfalto" e "Io ti salverò") come "il principe delle partiture per la Settima Arte", e Luigi Dallapiccola come "un artista autentico", abbiamo dovuto abbandonare le tremebonde certezze del nostro paese (Marco Masini e Amedeo Minghi, il Festival di Sanremo da poco terminato e il Festivalbar ancora da iniziare) per cercare scampo nel cuore dell'impero sovietico.
Proprio lì, infatti, dal 27 aprile all'11 maggio, prendendo a pretesto la traduzione in lingua russa di un bel volume di Pier Marco De Santi - "La musica di Nino Rota", ormai esauritissimo in Italia - l'associazione moscovita "Movimento per la mutua comprensione" aveva deciso di varare la manifestazione: complici il Ministero della cultura dell'Unione Sovietica e, sul versante italiano, il Ministero del turismo e dello spettacolo, la società "Progettimmagine" e la rete televisiva "Superchannel", sponsor unico dell'intera rassegna. E proprio lì, nel dare il benvenuto a tutti i partecipanti, il grande regista russo Sergej Bondarchuk aveva voluto ricordare la collaborazione con Rota in occasione della lavorazione del suo film "Waterloo": "Quando ho visto la partitura della colonna sonora", ha detto Bondarchuk, "mi sono subito voluto informare, come sempre, delle necessità tecniche del Maestro. Allora ho chiesto a Rota: 'Quanti tromboni le servono?'. E lui: 'Tre sono più che sufficienti'. 'Appena tre?', gli ho ribattuto: 'certi compositori me ne chiedono cento, centocinquanta...'. E lui, di rimando: 'Tre o cento... fa lo stesso'".
Questo delizioso aneddoto, raccontato da Bondarchuk con un misto di ironia e di rimpianto, è già sufficiente per inquadrare la personalità di questo uomo mite e dolcissimo, perennemente sorridente, tanto geniale nella scrittura musicale quanto modesto, straordinariamente modesto, in tutte le altre manifestazioni della vita. Lui aveva composto più di 150 partiture, fra opere, balletti, musica da camera, musica sacra e colonne sonore; lui aveva lavorato con molti dei più grandi registi del cinema contemporaneo: da Federico Fellini (per il quale aveva scritto tutte le musiche, da "Lo sceicco bianco" ad "Amarcord") a Luchino Visconti ("Rocco e i suoi fratelli", "Il gattopardo"), da Mino Monicelli ("La grande guerra") a King Vidor ("Guerra e pace"), da Eduardo De Filippo ("Napoli milionaria", "Filumena Marturano") a Francis Ford Coppola ("Il padrino", parte prima e seconda). Eppure, nonostante questo elenco del tutto degno di un "Guinness dei primati", e nonostante lo straordinario successo sempre incontrato con i suoi lavori, si era perennemente mantenuto uguale a se stesso: "quell'omino che cercava di uscire da porte che non c'erano, e che poteva realmente uscire anche da una finestra, come una farfalla, avvolto com'era da un'atmosfera magica, irreale", come ricordava Federico Fellini in un articolo pubblicato sul "Messaggero", tre giorni dopo la sua scomparsa; "quell'uomo di una bontà incredibile, di una civiltà rara, di una bravura musicale stupefacente", come dichiarò Ennio Morricone qualche tempo più tardi.
Non deve sorprendere una tale concordanza di giudizi: c'è infatti sempre, nella musica di Rota, un dato di "umanità" che trascende la forma. Lui stesso, nel corso di una delle sue ultime conversazioni telefoniche, ricordava con grande precisione la passione che lo muoveva a comporre: "Quando sono al pianoforte, quando cerco una musica, può essere che tendenzialmente io sia felice. Ma come uomo, come si fa a essere felici in mezzo all'infelicità degli altri? Questo è un dissidio che rimane sempre. E allora posso dire che il sentimento che anima la mia musica è teso a far sì che coloro che la ascoltano possano avere almeno un momento di serenità". Magistrale. Anche perchè, nella sua innata modestia, il Maestro dimenticava di annotare l'altra passione che non l'abbandonava mai, e che ancor oggi si può gustare nelle partiture realizzate soprattutto per i film di Fellini: un "sense of humour" discreto e garbato, che a volte sconfina nella clownerie e altre volte tocca le corde del grottesco e del "burlesque", come spesso accade a chi cerca riferimenti nella "musica reale" del quotidiano, e trae elementi di ispirazione indifferentemente dalla canzone melodica degli anni Trenta e dalle marcette circensi, dal musical di Broadway e dall'avanspettacolo nostrano.
Ma, pensandoci bene, è anche facile immaginare perchè mai Nino Rota si sia dimenticato di citare lo humour, fra le sue fonti originarie di ispirazione. Lui ne era talmente tanto provvisto, da potersi permettere di qualificare come "misfatti cinematografici" le sue inimitabili colonne sonore, e come "un po' di altra musica" le sue partiture sinfoniche e da camera. I suoi "critici", al contrario, accidiosi e accigliati come automobilisti immersi in un ingorgo da week-end, questo sublime moto dello spirito non sapevano neppure dove stesse di casa: e proprio per questo, spesso e volentieri, ne qualificavano la musica come "un qualcosa di terribilmente simile a una barzelletta oscena, raccontata da qualcuno che poi vuol vedere, ammiccando, quale effetto faccia sui suoi ascoltatori". E per un Fedele D'Amico che, correttamente, individuava nella "spontaneità l'elemento di massima discriminazione della musica di Nino rispetto alla musica dei contemporanei, per la maggior parte fatta di critica sulla musica, di virgolette, di citazioni, di ripensamenti, e non di gettiti spontanei", cento altri ce n'erano che, bene che andasse, lo accusavano di volgarità: se non di "furto" e di "plagio".
Quasi inutile dire che, di fronte ad accuse tanto ridicole (ma anche terribilmente efficaci: tanto che il Maestro dovette attendere il 1974, prima di conquistare un meritatissimo Oscar per le musiche del "Padrino II"), Rota non poteva esimersi dal fare spallucce. Lui, nel desiderio viscerale di farsi ascoltare, di comunicare in musica i suoi sentimenti, non aveva esitato un attimo a citare una frase dell'andante di una serenata di Dvoràk, inserendola nel tema conduttore del film "La strada"; e aveva avuto il coraggio di prendere un tema dalla sua "Sinfonia sopra una canzone d'amore" per intruderlo a viva forza nel "Gattopardo" (così come, con procedimento uguale e contrario, aveva fatto con il brano finale di "Le notti di Cabiria": che, vent'anni più tardi, sarebbe diventato il duetto "Villanova 'ncoppa Margellina" dell'opera "Napoli milionaria" di Eduardo). Questo perchè non si stancava di ripetere che, per lui, non esisteva alcuna differenza di valore gerarchico fra musica composta per il cinema, e musica composta per la scena o la sala da concerto. Per utilizzare le sue parole autografe: "Non credo a differenze di ceti e di livelli nella musica. Secondo me, la differenza di musica 'leggera', 'semileggera', 'seria', è del tutto fittizia. Gli spartiti di Offenbach, che ormai sono vicini ai 150 anni, saranno leggeri fin che si vuole, ma di una leggerezza che dura nel tempo e ha una formidabile vitalità. Mentre c'è molta musica della stessa epoca che, rispettabilissima, erudita e serissima, ci rompe le scatole e basta! Il termine 'musica leggera' si riferisce solo alla leggerezza di chi l'ascolta, non di chi l'ha scritta. E, in fondo, la leggerezza dell'ascolto è una specie di immolazione della propria presunzione a una facilità degli altri di ascoltare. Per questo non mi offendo, quando mi danno del 'cinematografaro': musica per film o altra musica, vi metto sempre lo stesso impegno. E' diverso soltanto il territorio tecnico in cui mi muovo".
E' dunque un vero peccato che nessuno, in Italia, abbia ancora pensato di dedicare una rassegna specifica a questo compositore geniale, prolifico, rapidissimo nella stesura (si narra che abbia scritto tutte le musiche di "Stella dell'India" durante il viaggio in treno da Milano a Londra, e che ancora meglio abbia fatto per le musiche di un film di Luigi Zampa: composte in un solo pomeriggio). Speriamo almeno che RaiUno mantenga ciò che ha solennemente promesso: e cioè diffondere in prima serata, entro metà giugno, il concerto ripreso nella "Sala delle Colonne" di Mosca il 4 maggio scorso. E speriamo anche che escano, quanto prima, l'home-video e il disco di quel memorabile evento, realizzati grazie alla dedizione delle formidabili orchestre sinfoniche del Bolshoi e di Gosteleradio. Sarebbe, se non altro, un omaggio tardivo a un genio troppo presto dimenticato.
(maggio 1991) 

  Di Roberto Gatti

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