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Musica per i golosi

a cura di Francesca Mineo

 

 

 


Roy Paci

L'intervista

Arrivano stipati come sardine a bordo di due pulmini zeppi di strumenti, abiti gessati, provviste e beauty case, una carovana vociante e musicale ancor prima di salire sul palco. E’ arrivato Roy Paci, circondato dai fidi Aretuska. Il nuovo album ‘Tuttapposto’ (Etnagigante/V2) è un variegato mix sonoro che va dal rocksteady siciliano a sonorità solari e mediterranee, passando dalla tradizione ‘made in Trinacria’ rivisitata, fino al jazz che fa saltare in piedi e ballare, e alla Giamaica.

'Un po’ crooner alla Nicola Arigliano – con cui peraltro si è esibito - , un po’ Fred Buscaglione redivivo ma con la passione per le avanguardie e delle innovazioni, Roy Paci e la sua tromba a 34 anni vantano una carriera da artista vicino alla pensione: dalle tournée nei jazz club alle esperienze in Sudamerica, dove suona con la Big Band di Stato Argentina, passando per il Senegal esibendosi con la band di Papa Matelot Sabow. Il suo nome ad oggi appare in oltre 250 album (Mau Mau, Africa Unite, Il Parto delle Nuvole pesanti, Persiana Jones) e il suo stile è quanto di più patchanka possa esistere. Tuttavia la voglia di allargare gli orizzonti della musica non lo abbandona mai: progetti sperimentali nei teatri delle avanguardie, la creazione della Banda Ionica, la nascita della band jazz-core Zu, i festival in Europa, passando per ogni punto cardinale. E ancora: l’incontro con Manu Chao è una folgorazione: suona in ‘Proxima estacion…esperanza’ per poi partire nel 2001, impeccabile nel suo doppiopetto gessato, al seguito della carovana Radio Bemba. Impossibile star dietro un tale vulcano.

Tutto a posto, dunque...
Be’, sì, anche se con il titolo di questo album abbiamo usato davvero un’altissima dose di ironia, e il riferimento è a quello che ci circonda. Non a caso abbiamo fatto la foto per l’album ad Amsterdam, come dire: Tutto a posto ragazzi, vero? Ma noi lo diciamo da qui, da lontano, senza essere troppo partecipi. Mi è venuto da dire: Tutto a posto, non c’è problema, un po’ come nel film “Stanno tutti bene”: spesso in questo modo si offre uno spaccato della situazione più veritiero, più realista e forse anche più amaro.

Preferisci denunciare senza attaccare in modo diretto?
Ho sempre preferito utilizzare l’ironia, sempre senza forzare troppo, senza troppe rivoluzioni, perché credo che l’ironia si insinua silenziosa ma poi è in grado di cambiare le coscienze e spaccare tutto, scardinare ciò che non riteniamo giusto.

Dopo le dediche, nel libretto, dici: Odio eterno ai razzisti, ai fascisti, ai pedofili, al ponte sullo Stretto, alla guerra, alla pena di morte: non è mano leggera, questa...
In effetti ci vado giù pesante, soprattutto durante i concerti, il pubblico lo sa! Roy Paci e Aretuska hanno sempre avuto una forte connotazione sociale, la volontà di suonare ma anche di comunicare qualcosa, anche quando sono in formazioni più avanguardistiche. Queste sono le nostre idee, che trasmettiamo servendoci dell’ironia: all’estero soprattutto vanno matti nel vederci salire sul palco vestiti come dei mafiosi. Molti sono rimasti perplessi, non capivano all’inizio che era tutto un gioco, e ci dicevano: ‘Scherzate, vero?’

Una carriera iniziata di corsa, senza vie di mezzo…
In effetti è così, fin da bambino, quando suonavo nelle bande di paese e poi via, ho imboccato lo Stretto e non mi sono fermato mai. Credo che ormai sia diventata una patologia: sono avido di sapere, di conoscere, di fare esperienze nuove e di suonare su tutti i palchi possibili. So che può sembrare strano, o per molti è anche un difetto, ma è questa irrequietezza che mi ha sempre dato la spinta per andare avanti. A Faenza tempo fa ho ricevuto un premio alla carriera: mi suonava molto strano, così sono salito sul palco travestito da vecchio, con barba e bastone. Forse l’ingrediente per farcela, la molla, è il peperoncino: non posso farne a meno!

Non sei fuggito dalla Sicilia, ma certo te la porti dietro in ogni brano...
Assolutamente. Sono grato alla mia terra per come è, per quello che mi ha dato, non potrei mai separarmene, anche se sono lontano da casa molto spesso. Amo le tradizioni, anche se mi piace scombinarle. E’ tutto bello tranne una cosa: la lentezza, che per me è qualcosa nel dna della gente, ma io spesso non riesco a comprenderla. Sarà perché ho sempre lavorato molto nel nord Europa. Lì quando hai un appuntamento devi presentarti mezz’ora prima, se no sei comunque in ritardo.

Anche nei progetti più all’avanguardia non è spezzato il legame con il Mediterraneo.
Sì, anche in Banda Ionica, un progetto decisamente più culturale, dove siamo partiti dalle marce funebri del sud Italia (due brani del disco fanno parte della colonna sonora de ‘La ragazza sul ponte’, di Patric Leconte, ndr) , la Trinacria emerge da ogni parte. E’ stato ed è un laboratorio che punterà sempre l’attenzione su nuovi artisti.

Cosa ami di più in ‘Tuttapposto’?
Il fatto che con gli Aretuska abbiamo ripreso il filone siciliano, la musica che sa di banda di paese, le sonorità e l’omologazione dei suoni, specie dei fiati. E poi mi sono cimentato nella scrittura dei testi: pensavo di non essere pronto, anche perché più che testi erano appunti scritti o detti durante le pause.

Oltre alla tromba si sente anche la voce di Roy Paci...
Mi sono buttato sulla voce, ebbene sì. Ma ora devo studiare: suonare la tromba e cantare comporta uno sforzo notevole, devo educare la voce, visto che i nostri concerti durano almeno due ore.

Cosa prevedono i prossimi mesi del 2003?
Prima di tutto un tour in tutta Europa. Poi stiamo lavorando molto con l’etichetta, la Etnagigante, con la quale produrremo un nuovo gruppo siciliano, ma non posso dire ancora molto. E poi c’è in ballo un altro progetto per l’autunno: si chiamerà ‘Cor*leone’. Sarà la mia terza dimensione, per liberarmi nell’improvvisazione. Sarà un disco scuro, ma non nero, direi marrone, con suoni non del tutto bassi ma neanche troppo alti. E la formazione prevederà il corno, il flicorno, il trombone e il sax. Sì, uscirà fuori un suono marrone.

 

 

 


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