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Musica per l'anima

a cura di Roberto Gatti

 

Jovanotti
"Autobiografia di
una festa"

Milano. E’ proprio vero che per un rappatore la parola è tutto, e anche qualcosa di più. A maggior ragione se questa stessa parola deve circuire non soltanto un prodotto, ma addirittura due. E se questi due prodotti sono

attesi da tempo immemorabile, e riguardano novità assolute, e sono stati tanto accuditi, vezzeggiati e coccolati da far dire al loro creatore: "sono davvero felicissimo, perché posso affermare, senza false modestie, di aver portato a compimento un lavoro eccezionale!". Applausi scroscianti in sala e sorriso stellare sulle labbra del protagonista, mentre il di lui cane - di nome Pinocchio - zampetta giocoso sul palco del Teatro dell’Arte, e la di lui figlia - Teresa - abbozza un accenno di pianto fra le braccia di mamma Francesca, e la di lui band - Saturnino in primis - osserva l’intera scena con una gioia e una rilassatezza che hanno davvero pochi parametri di paragone nel panorama musicale di casa.

  Già l’avrete abbondantemente capito: è di Lorenzo Cherubini che stiamo parlando. E cioè di Jovanotti, che nella tarda mattinata di mercoledì 18 ottobre, appollaiato su un buffo sgabello a forma di gnomo rosso e verde davanti a una platea gremita fino all’inverosimile - "uhé, ragazzi, da quando abito in un piccolo paese dell’Umbria non sono più abituato a trovarmi davanti così tanta gente: sono emozionato..." - ha parlato a raffica per un’ora e mezza abbondante. Per presentare il suo primo album "live" ("Autobiografia di una festa", Mercury) e il suo web-site nuovo di zecca (www.soleluna.com). E, soprattutto, per travolgere cronisti e fans lì convenuti con un fuoco di fila scintillantemente pirotecnico di pensieri, battute, gag e commenti salaci. Dimostrando così di aver edificato attorno al nucleo forte del suo postulato originario - penso positivo - una "Weltanschauung" di tutto rispetto, da far invidia a intere orde di meditabondi filosofi contemporanei. "Weltanschauung" che ora - impresa alquanto ardua - cercheremo di riassumere per sommi capi.

Il disco, innanzi tutto.

"Non mi sono mai piaciuti i "live", perché in genere rappresentano un piccolo trucco per riempire il vuoto fra un disco e l’altro. Li concepisco soltanto quando contengono vibrazioni eccellenti, e un’energia identica a quella che ho potuto godere nel corso del concerto. E’ quanto succede in questa "Autobiografia", e devo dire in tutta onestà che mi sarei davvero rifiutato di produrla, se non ci avessi trovato dentro, intatta e vibrante, quell’atmosfera di festa così tipica dei miei concerti. Per farla breve, sono due ore e quaranta di musica - per trenta canzoni: 29 già conosciute e una inedita, "File not found" - che ancor oggi mi danno una carica eccezionale! E poi, lì dentro, c’è davvero di tutto: una parte grafica che è un vero e proprio racconto; un libretto di 48 pagine bello profumato, perché il mio ultimo tour era pregno di un sacco di profumi meravigliosi; una tessera contenente un bonus di 50 "sacchi" spendibili nel mio sito Internet. E se qualcuno - prevengo la domanda - mi chiede che cosa sono i "sacchi", rispondo subito che sono l’unità monetaria vigente dentro "soleluna". Insomma, se nei villaggi turistici la spesa si fa con i gettoni, qui la si fa con i "sacchi". Che valgono circa mezzo euro cadauno (vabbè, diciamo mille lire...) e servono a scaricare canzoni tratte da tutti i miei concerti. Bello, no?".

E’ per questo che indossi un cappellino con la scritta "Napster"?

"E già (ride abbondantemente)! In realtà, questa è solo una piccola provocazione che ho voluto indirizzare ai miei discografici, che sono tutti terrorizzati dalle faccende tipo MP3 e Napster... Ma io da tempo cerco di convincerli che la musica non morirà di certo per queste robe qui: tant’è vero che negli Stati Uniti, lo scorso anno, c’è stato un incremento di vendite di oltre il sei percento, a dispetto di tutto. E dunque il "downloading" spazzerà via dal mercato soltanto i dischi costruiti esclusivamente attorno a un singolo, mentre per gli altri, paradossalmente, sarà addirittura una nuova forma di pubblicità, come insegna il caso di Madonna... E comunque sappiate che io sono favorevole al "downloading", tant’è vero che nel mio sito, a partire dal 23 ottobre, ci saranno tre pezzi inediti da scaricare. E sappiate anche che il "downloading" non sarà di certo la morte dei cantanti: male che vada, gli impedirà soltanto di costruirsi una seconda villa con piscina...".

Sul retro-copertina del disco compare la "Pietà" di Michelangelo. Come mai?

"E’ una storia lunga. La "Pietà" di Michelangelo è da sempre la mia opera d’arte preferita, e mi ricordo che ci rimasi di stucco, da bambino, quando un pazzo la prese a martellate. E allora, adesso che sono grandicello e anche un po’ famoso, ho pensato: rendiamo omaggio alla "Pietà" dedicandole un a canzone per ogni martellata. Però le canzoni sono trenta e le martellate, per fortuna, erano un po’ di meno. Non bastasse, non siamo neanche riusciti a trovare tutte le foto che ritraevano la sequenza dei singoli colpi. Così, a dispetto della nostra buona volontà, alla fin della fiera è rimasta soltanto l’idea originaria. Che però è forte e positiva, non vi pare?".

Il tuo disco è dedicato a una nutritissima schiera di associazioni che difendono i diritti umani, da Greenpeace a Emergency: alla quale hai deciso di devolvere tutte le royalties della canzone "Il mio nome è mai più". Che cosa pensi, invece, del cosidetto "popolo di Seattle"?

"Ne penso assolutamente bene, anche se ritengo che il problema della globalizzazione sia alquanto più vasto e complesso della diffusione dei McDonald’s nel mondo. Sono convinto che la globalizzazione sia la forma moderna di quella che un tempo veniva chiamata colonizzazione, e sono altresì convinto che i diritti che abbiamo noi, cittadini fortunati dei paesi dell’occidente industrializzato, debbano valere per tutti. Però penso anche che le sanzioni non possano essere comminate ai singoli paesi, che già hanno un debito enorme da fronteggiare, ma alle multinazionali. Nel mio modo di vedere, insomma, ci dovrebbe essere una struttura sovranazionale - magari un’emanazione dell’Onu - capace di imporre alle multinazionali il rispetto dei diritti umani in tutti i paesi del mondo. Forse è un’idea infantile, o forse è soltanto utopistica: ma non sono un politico, per fortuna, e mi piace pensare che si possa arrivare a una soluzione di questo tipo qua. In questo senso, in definitiva, sono totalmente d’accordo con il "popolo di Seattle"".

  Di Roberto Gatti

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Marianne Faithfull
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Marianne Faithfull

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