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Musica per i golosi

a cura di Francesca Mineo

 

 

 


Goldfrapp

L'intervista

Algida diva, Alison Goldfrapp da Bath, ha cominciato a esplorare generi musicali fin dagli anni della scuola, la 'Fine Art Painting'. Per lei 'belle arti' significavano suoni, visuals, performances e installazioni, un tutt'uno. Non che adesso la pensi diversamente, anche se per 'Black Cherry' (Mute), l'album che segue lo stratosferico debutto di 'Felt mountain' (2000), il duo Goldfrapp-Will Gregory ha scelto sonorità più calde, che evocano Donna Summer così come Ennio Morricone. 'Train' è il singolo dell'album ma è forse 'Tiptoe' che rappresenta meglio l'espressività 'Goldfrapp'. Nel complesso, un disco elegante, carico di suggestioni e di un pizzico di mistero.

"Sono contenta che possa apparire così - spiega Alison Goldfrapp -. Non pensavo a qualcosa di particolarmente raffinato, come secondo lavoro, ma è certo che oggi mi rendo conto di quanto il primo disco, nelle mie intenzioni, doveva funzionare a tutti i costi. Per questo avevo mantenuto un atteggiamento più perfezionista. In 'Black Cherry' ho cercato di pensare a ogni traccia come singoli aspetti di me, così che ogni pezzo possa funzionare da solo. Sono dieci viaggi diversi, nati da un periodo più sereno, con meno aspettative davanti a noi. Siamo molto più sereni".

Anche per 'Black Cherry' l'aspetto visivo ha avuto la sua importanza?
Visuals e musica sono due aspetti paralleli, che vivono insieme da sempre. Il mio modo di scrivere, liricamente e musicalmente, è questo: immagino sempre uno scenario dietro i suoni, dunque è parte di una stessa cosa.
In 'Black Mountain' i panorami erano più dark e immaginari, qui emerge di più una realtà concreta, direi urbana, più energica. Non volevamo un disco dance, ma ritmi e suoni che mostrassero contrasti e dinamismo.

Non manca la sensazione, per chi ascolta, di essere trascinati altrove, come da un canto di sirene: è sempre nelle intenzioni?
Anche in questo caso non ci penso (ride, ndr), ma forse è parte del mio modo di esprimermi. Mi piace quando la musica ti porta via, anzi, credo che debba sempre essere così. E' come quando vai a vedere un film, se ti appassiona dimentichi tutto, o quando vedi un quadro che ti emoziona, e non sai più dove sei. Credo comunque che 'Black Cherry' sia un disco più rilassato e diretto, dove abbiamo dato spazio alla spontaneità e non abbiamo voluto essere mai ambigui.

Goldfrapp è un grande fan di Ennio Morricone e in questo album si sente…
Adoro Morricone, per quel fantastico senso della melodia e per i meravigliosi arrangiamenti. Lo trovo geniale e lo ascolto moltissimo, per questo deduco che si avverta anche nel nostro album, fa parte del nostro gusto estetico. Così come non possiamo fare a meno di ascoltare Donna Summer e MacArthur Park, fa parte di noi.

'E' ancora importante, oggi, l'esperienza con Tricky?
Senza dubbio. L'ho conosciuto quanto ero al college, ho lavorato con lui nel suo album di debutto nel 1995, 'Maxinguaye' e poi ho girato in tour per due anni circa. Tricky mi ha introdotto al music business, mi ha fatto capire cosa significa vivere con la gente 24 ore al giorno, mi ha insegnato moltissimo e certo è in parte 'responsabile' di quello che sono adesso.


Aver venduto mezzo milione di copie al debutto ha pesato molto sul nuovo disco?

Non nel momento in cui componevamo, forse sento maggiormente la pressione ora che stiamo promuovendo l'album. Sento che la gente si aspetta sempre di più da noi, avendo apprezzato 'Felt mountain'. Tuttavia quando ci siamo messi al lavoro, dopo tante date di tour, eravamo certi di non voler emulare quello che avevamo fatto o replicare una formula di successo. Devo dire che adesso non vedo l'ora di suonare dal vivo, credo sia l'unico modo per capire se il disco piace davvero. Stiamo infatti pensando a uno spettacolo abbastanza tradizionale, senza visuals o effetti particolari, perché vorremmo lasciar andare la nostra espressività e improvvisare.

L'album è stato registrato in uno studio casalingo, scelta di sempre più artisti: perché, nel vostro caso?
Abbiamo registrato nel nostro studio di Bath, lo trovavamo più confortevole. In realtà è davvero uno studio casalingo e non bellissimo, con finestre piccole e poca luce. Ma non mi piacciono quegli studi che sembrano delle cliniche, freddi, asettici e che costano una fortuna senza riuscire a coinvolgerti minimamente. In ogni caso si tratta di una soluzione temporanea: abbiamo disegnato i muri come piace a noi, illuminato da luci al neon.

E' vero che furono i 'Carmina Burana' a farti comprendere che la tua strada era la musica?
Sicuramente la scoperta dei Carmina Burana fu un momento essenziale nella mia vita. Avevo più o meno 8 anni e mio padre me li cantava quando facevo colazione e poi me li faceva ascoltare. Rimanevo senza fiato per quella commistione di voce, suono e sentimenti fortissimi. La musica sarebbe stata la destinazione finale ma ho deciso di studiare arte come modo per scoprire me stessa, e l'analisi di forme e colori mi aiuta ancora adesso che scrivo musica.


 

 


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