indimenticabili (ma ormai
abbandonate negli anfratti della memoria), di buon umore a fiumi. Il
seguito ve lo raccontiamo ora, perché proprio ora vede finalmente la
luce il "figlio" - legittimo e discografico - di quello
straordinario evento. Un cidì che ovviamente si chiama "Go
man!", e che il suo formidabile procreatore Nicola Arigliano, la
mattina di martedì 6 febbraio, andava autografando a fans e
ammiratori vari con il suo "vero" nome di battesimo,
Pasquale: "perché questo è il nome di mio nonno, e io sempre ho
voluto chiamarmi così: e allora, adesso, per ribadire il concetto,
chiamo Pasquale anche tutti quelli che mi stanno simpatici, così
facciamo una grande famiglia".
E
dovevate vederlo, il settantasettenne Nicola, con quale incredibile
verve si muoveva nella sede (nuovissima) della sua nuova etichetta
discografica: la NuN dell'ex presidente della Polygram Stefano
Senardi, che ora si è messo in proprio e si è dato come marchio (su
suggerimento di Franco Battiato) la lettera più "dinamica"
dell'intero alfabeto arabo. Si muoveva, il nostro Nicola, con una
nonchalance e una parlantina impressionanti, come si conviene a chi ha
rivisto in faccia il successo dopo molti anni di semi-oscurità e
semi-abbandono capitatigli addosso quasi per caso, ma, al tempo
stesso, anche fortemente voluti e ricercati: "perché io sono un
misantropo, padrone assoluto della mia vita, e se mi propongono delle
cose che non mi piacciono, mica sto lì a pensarci molto... Non le
faccio, punto e basta!".
E
allora queste le piacciono molto, signor Arigliano...
"Se
mi dai del "lei" non ti rispondo, ma se mi dai del tu...
allora ti dico che sì, mi piacciono un sacco! E tutto il merito è
del mio amico Stefano Senardi, che mi ha convinto a fare questo disco
con tutte le canzoni dei tempi - "Marilù", "Permettete
signorina", "Maramao perché sei morto",
"Nebbia", "I sing ammore" - e gli ospiti
formidabili che ben conoscete: Enrico Rava, Gianni Basso, Renato
Sellani, Franco Cerri, eccetera eccetera. Senza Stefano, io sarei
ancora lì con il mio solito Trio Pannocchia - così lo chiamo io, con
affetto infinito. E allora... coraggio, ragazzi: un bell'applauso per
Stefano Senardi!!!".
Ma
che differenza c'è fra questo disco e gli altri tre registrati
"live" all'Onyx Jazz Club di Matera, qualche anno fa?
"La
prima differenza sta negli "ospiti speciali", che qui ci
sono e là no. La seconda è che, qui, c'è una jam session completa,
di quelle che piacciono a me. E infatti, se ancora non lo sapete, vi
racconto io come sono andate le cose con questo disco. Noi - intendo
dire il sottoscritto e il mio Trio Pannocchia - ci siamo trovati alla
"Salumeria" alle 10 del mattino di quel lontano lunedì di
novembre, e insieme abbiamo messo giù una specie di scaletta. Gli
"ospiti speciali" sono arrivati a mezzogiorno, tutti
insieme, e a loro ho detto: "Ora vi leggo la scaletta delle
canzoni, e chi vuol fare un assolo dentro una determinata canzone...
alzi la mano! Io prendo nota!". Così sono andate le cose, senza
trucco e senza inganno. E senza prove, soprattutto!".
Quindi,
lei esclude... pardon: tu escludi di poter fare mai un disco in
studio?
"Lo
escludo nella maniera più assoluta. Il mio lavoro, per come lo
concepisco io, ha bisogno di grande partecipazione e di grande
sostegno del pubblico... E io, poi, sono così egocentrico... E
allora, mi vedete dentro uno studio di registrazione? Che squallore,
un ambiente così vuoto e asettico! Con il produttore e l'ingegnere
del suono che ti dicono: "questa va rifatta!"... Ma che
rifatta... Per me, è sempre buona la prima: quel che viene
viene!".
E'
per questo che non hai mai voluto dare un seguito all'esperienza
cinematografica della "Grande guerra"?
"Certo
che sì. Mino Monicelli era un grandissimo regista, su questo non ci
piove, ma io non sopporto il cinema perché mi piace
l'estemporaneità. E allora, quando lui brandendo il copione diceva:
"adesso facciamo da pagina 90 a pagina 94!", a me veniva
spontaneo chiedergli: e da pagina 1 a pagina 89??? E' così che ho
chiuso con il cinema!!!".
Però
sei andato anche a Sanremo, dove si fanno un bel po' di prove...
"Forse
adesso, ma ai miei tempi non era così. E poi ci sono andato perché
adoravo quella canzone là, "Venti chilometri al giorno"...
Mi ricordo che volevano darmene un'altra, molto più
"italiana", ma io ero appena ritornato dagli Stati Uniti,
dove andava fortissimo un pezzo alquanto paradossale che si chiamava
"Sixteen tons", con quella strepitosa voce del basso dei
Platters. E allora ho detto a Giulio Rapetti, che ai tempi forse non
si firmava ancora Mogol, che anch'io volevo una canzone parodistica di
quel tipo lì, e lui è stato bravissimo a ritagliarmi addosso quella
roba da sfigati, di uno che fa venti chilometri a piedi... per andare
in bianco! Grandioso!!!".
E'
da lì, allora, che nasce il tuo mito di... "cantante che non
canta"?
"Certo.
Prima, per i giornali, ero soltanto "il brutto che canta 'o
jazz"! Poi, su mio suggerimento, sono diventato "il cantante
che non canta". Perché a me piacciono le punteggiature, per me
il testo è già un qualcosa di estremamente musicale, da rendere al
meglio rispettandone le pause, i silenzi, gli accenti, le virgole e i
punti e virgola... Per questo mi sono sempre piaciute cantanti come
Billie Holiday e Anita O' Day, per questo non ho mai sopportato tutti
quei tromboni che prendono le note e le tirano all'infinito, con
quella loro voce stentorea! Ragazzi, sono fatto così...".
Un'ultima
domanda, Nicola. Come fai a essere così arzillo a 77 anni già
compiuti?
"E'
tutto merito della dieta che faccio fin da quando son nato: aglio,
cipolle, peperoncino e pasta senza condimento. I miei fratelli -
eravamo in quattro - mi esortavano a mangiare come loro: condimenti,
salse, olio, burrata, acciughe... Ma io tenevo duro, e loro andavano
in giro a dire che ero pazzo. Magari avranno avuto anche ragione, ma
adesso loro se ne sono andati via in missione celeste, e invece io
sono ancora qui! Che ne dite?". |