ormonale piuttosto rara - la sindrome di Kellmann - mai
curata a dovere in gioventù.
Jimmy Scott era stato un artista di culto, quasi un Mito,
negli anni in cui aveva potuto lavorare nella maniera a
lui più congeniale: avanti e indietro per gli States,
nelle immense "ballroom" e nelle leggendarie
sale da concerto, in compagnia di Lionel Hampton nei
Quaranta e di Ray Charles nei Sessanta. Chissà mai perché,
Jimmy Scott era poi caduto in disgrazia, dimenticato da
tutto e da tutti.E in questa tristissima situazione
sarebbe rimasto fino alla fine dei suoi giorni se un paio
d'anni fa, per sua buona sorte, non l'avessero riscoperto
dapprima Lou Reed e poi, via via, David Byrne e David
Lynch: che l'hanno riportato di peso sotto le luci della
ribalta. Dove il Gran Vegliardo - perfetto
"pendant" a stelle e strisce dei cubani Compay
Segundo, Rubén Gonzáles e Ibrahim Ferrer - si trova
tuttora perfettamente a suo agio, come abbondantemente
dimostra in questo delizioso album: il primo a suo nome da
tempo immemorabile. Dove riprende con invidiabile verve,
alla testa di un ensemble dall'inconfondibile profumo
jazzistico, alcuni "evergreen" del rock di tutti
i tempi: "Jealous guy" di John Lennon,
"Slave to love" di Bryan Ferry, "Holding
back the years" di Mick Hucknall e "Nothing
compares 2U" di Prince.
L'intervista
Milano.
La "Musica dei Cieli" ritorna in una delle
basiliche più belle della città, quella di San Lorenzo
Maggiore, e, per l'eccezionalità dell'occasione, la sera
di martedì 19 dicembre, mette in mostra uno delle sue
attrattive più prelibate: Jimmy Scott da Cleveland, 75
anni compiuti il 17 luglio scorso, un passato
gloriosissimo nell'ambito del jazz più sfavillante
(Lionel Hampton e Count Basie, tanto per citare un paio di
nomi a casaccio) e una voce sublime, che Lou Reed ha
paragonato a quella di un angelo: "tanto paradisiaca
e pura che ti può spezzare il cuore", parole
testuali. E sacrosante.
Già
incontrarlo di persona, Jimmy Scott, è un'emozione allo
stato puro. E' minuscolo, filiforme, leggero come una
piuma. Ha un faccino curioso, che si muove in
continuazione per inseguire espressioni ora buffe, ora
drammatiche, ora di pura e piacevole sorpresa. I suoi
capelli sono impomatati come si usava mezzo secolo fa, fra
i "mamberos" di Perez Prado e Tito Puente. La
sua voce - angelica - è un enigma assoluto: a volte è
squisitamente femminile, a volte efebica, altre volte
mette in mostra strane raucedini aliene, quasi provenienti
da Saturno (come Sun Ra) o forse, addirittura, da un'altra
galassia. E' di una gentilezza squisita, da gentleman
d'altri tempi, e di una sincerità quasi imbarazzante, per
chi sia da tempo costretto a frequentare le furbizie e le
patetiche menzogne dello show business. Dice infatti che
la sua infanzia è stata turbata in maniera irreparabile
da un rarissimo morbo della crescita, che si sarebbe
potuto curare - forse - con una sequela infinita di
iniezioni potentissime. Ma lui aveva il terrore degli
aghi, dei medici, dei continui ricoveri in clinica; e
quindi ha lasciato perdere. Per questo non ha potuto avere
figli, che pur gli sarebbero piaciuti tantissimo (e
infatti erano dieci fratelli in famiglia, cinque maschi e
cinque femmine). Per questo la sua voce è questo
incantevole ibrido qua: un piccolo frammento di paradiso
che Little Jimmy ha utilizzato per più di cinquant'anni
per evocare gli angeli - ma soprattutto i demoni - del
jazz e del blues, altrimenti detto "la musica del
diavolo".
Ma
questa sera, a San Lorenzo, il nostro squisito vegliardo
solo la "musica dei cieli" vuole cantare: quei
gospel e spiritual che ha imparato in gioventù nella
piccola chiesa battista di Cleveland, e che mai è
riuscito a mettere su disco perché la gente da lui vuole
altre cose. "E io sono ben contento di
offrirgliele", dice con un sorriso dai colori
dell'arcobaleno, "perché l'unica cosa che inseguo
nella vita è la gioia, e so benissimo che la gioia
dell'amore mondano è diversa - ma soltanto un pochino -
dalla gioia dell'amore divino... Ma io voglio cercare di
cantare tutte e due con la medesima passione e la stessa
energia, in modo da creare un "unicum"
inscindibile: un qualcosa che io definisco
"enerjoy", l'energia che si trasforma in gioia,
e che non ha ambiti privilegiati da accudire. Perché lo
spirito dimora nella materia proprio come la materia nello
spirito, e non ha alcun senso separare l'uno
dall'altra".
Per
enfatizzare al massimo questa verità inconfutabile - che
più che alla religione battista Little Jimmy rivendica al
"positive thinking", "di cui sono da sempre
un fedelissimo seguace" - mister Scott si affida al
suo sperimentatissimo trio (Mike Kanan al pianoforte, Hill
Greene al contrabbasso, Dawyne Broadnax alla batteria) e a
un repertorio di una quindicina di "song", che
comprende classici come "Sometimes I feel like a
motherless child", "Love lifted me",
"Where could I go", "May the Lord bless and
keep you", "Yes God is real" e
"Whispering hope". E non gli servono i
tradizionali cori del gospel, che lui ha pur sperimentato
tantissimi anni fa, quando cantava con un paio delle sue
sorelle nelle chiesette di Cleveland: gli serve soltanto
la sua voce. Quella stessa voce che dopo un lunghissimo
periodo di "black out" - dal 1975 fin verso la
metà degli anni Ottanta, che lui ha trascorso lontano
dalle scene per accudire il suo vecchissimo padre - ora è
ridiscesa fra noi, per merito quasi esclusivo del grande
Lou Reed: che lo volle accanto a sé ai tempi
dell'incisione di "Magic and loss", e Dio gliene
renda merito.
Ora
quell'incredibile voce lambisce e accarezza la splendida
volta cinquecentesca di San Lorenzo, e le sue monumentali
colonne, e la piccola cappella dedicata a San Giuseppe,
dove riluce un meraviglioso presepe natalizio. E ha
davvero l'incanto degli angioletti che svolazzano in
cielo, e si evventura su-su-su per poi precipitare
giù-giù-giù, e tutti trattengono il fiato al cospetto
di simile incanto, e forse si domandano come sia mai
possibile che un meraviglioso vecchino come questo qua non
sia subissato da offerte e ingaggi stratosferici, e possa
incidere dischi solo di quando in quando._Come mai,
insomma, non abbia ancora avuto il medesimo trionfo
planetario tributato - a piena ragione - ai Grandi
Vegliardi di "Buena Vista Social Club".
Mistero...
Sta
di fatto che Little Jimmy Scott, saggio e pieno di gioia
di vivere com'è, non pare minimamente curarsi di questi
stucchevoli interrogativi mondani. A lui basta cantare le
lodi del Signore con tutto il fiato che ha in gola, e
sorridere in continuazione alle genti e ai suoi tre
simpatici compagni d'avventura, e inchinarsi con
meraviglioso sussiego al termine di ogni canzone gospel, e
benedire tutti noi con quelle mani lunghissime e ossute,
da patriarca d'altri tempi. Che incantevole lezione di
vita, la sua!
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