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Musica per l'anima

a cura di Roberto Gatti

 

Jimmy Scott
holding back the years
recensione - intervista

Jimmy Scott, "holding back the years", Wea Jimmy Scott ha 74 anni, un timbro vocale metallico, inquietante e inconfondibile quanto quello di Billie Holiday, un fisico minutissimo, quasi adolescenziale: a ricordo indelebile di una disfunzione

ormonale piuttosto rara - la sindrome di Kellmann - mai curata a dovere in gioventù.
Jimmy Scott era stato un artista di culto, quasi un Mito, negli anni in cui aveva potuto lavorare nella maniera a lui più congeniale: avanti e indietro per gli States, nelle immense "ballroom" e nelle leggendarie sale da concerto, in compagnia di Lionel Hampton nei Quaranta e di Ray Charles nei Sessanta. Chissà mai perché, Jimmy Scott era poi caduto in disgrazia, dimenticato da tutto e da tutti.E in questa tristissima situazione sarebbe rimasto fino alla fine dei suoi giorni se un paio d'anni fa, per sua buona sorte, non l'avessero riscoperto dapprima Lou Reed e poi, via via, David Byrne e David Lynch: che l'hanno riportato di peso sotto le luci della ribalta. Dove il Gran Vegliardo - perfetto "pendant" a stelle e strisce dei cubani Compay Segundo, Rubén Gonzáles e Ibrahim Ferrer - si trova tuttora perfettamente a suo agio, come abbondantemente dimostra in questo delizioso album: il primo a suo nome da tempo immemorabile. Dove riprende con invidiabile verve, alla testa di un ensemble dall'inconfondibile profumo jazzistico, alcuni "evergreen" del rock di tutti i tempi: "Jealous guy" di John Lennon, "Slave to love" di Bryan Ferry, "Holding back the years" di Mick Hucknall e "Nothing compares 2U" di Prince.

L'intervista

Milano. La "Musica dei Cieli" ritorna in una delle basiliche più belle della città, quella di San Lorenzo Maggiore, e, per l'eccezionalità dell'occasione, la sera di martedì 19 dicembre, mette in mostra uno delle sue attrattive più prelibate: Jimmy Scott da Cleveland, 75 anni compiuti il 17 luglio scorso, un passato gloriosissimo nell'ambito del jazz più sfavillante (Lionel Hampton e Count Basie, tanto per citare un paio di nomi a casaccio) e una voce sublime, che Lou Reed ha paragonato a quella di un angelo: "tanto paradisiaca e pura che ti può spezzare il cuore", parole testuali. E sacrosante.

Già incontrarlo di persona, Jimmy Scott, è un'emozione allo stato puro. E' minuscolo, filiforme, leggero come una piuma. Ha un faccino curioso, che si muove in continuazione per inseguire espressioni ora buffe, ora drammatiche, ora di pura e piacevole sorpresa. I suoi capelli sono impomatati come si usava mezzo secolo fa, fra i "mamberos" di Perez Prado e Tito Puente. La sua voce - angelica - è un enigma assoluto: a volte è squisitamente femminile, a volte efebica, altre volte mette in mostra strane raucedini aliene, quasi provenienti da Saturno (come Sun Ra) o forse, addirittura, da un'altra galassia. E' di una gentilezza squisita, da gentleman d'altri tempi, e di una sincerità quasi imbarazzante, per chi sia da tempo costretto a frequentare le furbizie e le patetiche menzogne dello show business. Dice infatti che la sua infanzia è stata turbata in maniera irreparabile da un rarissimo morbo della crescita, che si sarebbe potuto curare - forse - con una sequela infinita di iniezioni potentissime. Ma lui aveva il terrore degli aghi, dei medici, dei continui ricoveri in clinica; e quindi ha lasciato perdere. Per questo non ha potuto avere figli, che pur gli sarebbero piaciuti tantissimo (e infatti erano dieci fratelli in famiglia, cinque maschi e cinque femmine). Per questo la sua voce è questo incantevole ibrido qua: un piccolo frammento di paradiso che Little Jimmy ha utilizzato per più di cinquant'anni per evocare gli angeli - ma soprattutto i demoni - del jazz e del blues, altrimenti detto "la musica del diavolo".

Ma questa sera, a San Lorenzo, il nostro squisito vegliardo solo la "musica dei cieli" vuole cantare: quei gospel e spiritual che ha imparato in gioventù nella piccola chiesa battista di Cleveland, e che mai è riuscito a mettere su disco perché la gente da lui vuole altre cose. "E io sono ben contento di offrirgliele", dice con un sorriso dai colori dell'arcobaleno, "perché l'unica cosa che inseguo nella vita è la gioia, e so benissimo che la gioia dell'amore mondano è diversa - ma soltanto un pochino - dalla gioia dell'amore divino... Ma io voglio cercare di cantare tutte e due con la medesima passione e la stessa energia, in modo da creare un "unicum" inscindibile: un qualcosa che io definisco "enerjoy", l'energia che si trasforma in gioia, e che non ha ambiti privilegiati da accudire. Perché lo spirito dimora nella materia proprio come la materia nello spirito, e non ha alcun senso separare l'uno dall'altra".

Per enfatizzare al massimo questa verità inconfutabile - che più che alla religione battista Little Jimmy rivendica al "positive thinking", "di cui sono da sempre un fedelissimo seguace" - mister Scott si affida al suo sperimentatissimo trio (Mike Kanan al pianoforte, Hill Greene al contrabbasso, Dawyne Broadnax alla batteria) e a un repertorio di una quindicina di "song", che comprende classici come "Sometimes I feel like a motherless child", "Love lifted me", "Where could I go", "May the Lord bless and keep you", "Yes God is real" e "Whispering hope". E non gli servono i tradizionali cori del gospel, che lui ha pur sperimentato tantissimi anni fa, quando cantava con un paio delle sue sorelle nelle chiesette di Cleveland: gli serve soltanto la sua voce. Quella stessa voce che dopo un lunghissimo periodo di "black out" - dal 1975 fin verso la metà degli anni Ottanta, che lui ha trascorso lontano dalle scene per accudire il suo vecchissimo padre - ora è ridiscesa fra noi, per merito quasi esclusivo del grande Lou Reed: che lo volle accanto a sé ai tempi dell'incisione di "Magic and loss", e Dio gliene renda merito.

Ora quell'incredibile voce lambisce e accarezza la splendida volta cinquecentesca di San Lorenzo, e le sue monumentali colonne, e la piccola cappella dedicata a San Giuseppe, dove riluce un meraviglioso presepe natalizio. E ha davvero l'incanto degli angioletti che svolazzano in cielo, e si evventura su-su-su per poi precipitare giù-giù-giù, e tutti trattengono il fiato al cospetto di simile incanto, e forse si domandano come sia mai possibile che un meraviglioso vecchino come questo qua non sia subissato da offerte e ingaggi stratosferici, e possa incidere dischi solo di quando in quando._Come mai, insomma, non abbia ancora avuto il medesimo trionfo planetario tributato - a piena ragione - ai Grandi Vegliardi di "Buena Vista Social Club". Mistero...

Sta di fatto che Little Jimmy Scott, saggio e pieno di gioia di vivere com'è, non pare minimamente curarsi di questi stucchevoli interrogativi mondani. A lui basta cantare le lodi del Signore con tutto il fiato che ha in gola, e sorridere in continuazione alle genti e ai suoi tre simpatici compagni d'avventura, e inchinarsi con meraviglioso sussiego al termine di ogni canzone gospel, e benedire tutti noi con quelle mani lunghissime e ossute, da patriarca d'altri tempi. Che incantevole lezione di vita, la sua!

  Di Roberto Gatti

English text

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