complicatissimo Eithne Ni Bhraonain, il volto della "chanteuse"
più famosa del gran mondo dei Celti si illumina di un meraviglioso sorriso: e sembra
quasi che secoli e secoli di storia patria si condensino in quei fonemi così sideralmente
lontani dalla normale comprensibilità.
Però anche lei conviene che, se avesse
mantenuto intatti i suoi autentici dati anagrafici, ben difficilmente avrebbe potuto
raggiungere il successo planetario di cui ora è accreditata.
E anche per questo, una decina danni
fa, quando abbandonò al loro destino i Clannad - vale a dire la "band" di
famiglia, nonchè uno dei gruppi più rinomati dellIsola di Smeraldo - Eithne Ni
Bhraonain decise di trasformarsi in Enya: «un nome molto più facile da pronunciare, per
chi non sia avvezzo alla nostra misteriosissima lingua».
E
una ragazza dal fascino misterioso, Enya. Pur avendo venduto milioni di dischi, pur
essendo conosciuta e apprezzata in ogni angolo del globo, dallAlaska alla Cina, solo
rarissimamente abbandona i luoghi a lei tanto cari: le vertiginose scogliere che si
gettano a capofitto nellAtlantico, le pietraie lunari del Connemara, la quiete
sonnolenta di Dublino, la "dirty old town" dove si è trasferita alcuni anni fa
per motivi di lavoro.
Eppure
molte sue canzoni, raccolte di recente in un "best of" di conturbante bellezza -
"Paint the sky with stars" - parlano esplicitamente di mondi esotici e lontani:
"Orinoco flow", "Caribbean blue", "China roses",
"Storms in Africa"... Lei sorride di nuovo di fronte allinequivocabile
ovvietà di questo rilievo, poi, molto semplicemente, dice: «Non è necessario visitare
in carne e ossa i luoghi che si vogliono descrivere: ci si può arrivare anche con la
fantasia, con la mente, con lo spirito.
Oppure, meglio ancora, con la musica: lasciandosi trasportare dalla forza intrinseca della
melodia».
Non
è una questione di "visualizzazione", dunque. Perché Enya, pur essendo
uninterprete profondamente legata alla filosofia della Nuova Era, non ama utilizzare
gli armamentari tecnici della New Age.
E, piuttosto, una faccenda eminentemente musicale. «La melodia è lanima di
qualunque canzone», dice convinta. «Una bella voce, un arrangiamento efficace,
unorchestrazione impeccabile, sono tutti elementi importanti di una composizione: ma
sono semplici aggiunte a un nocciolo preesistente e assolutamente fondamentale: la
melodia, appunto. E lei che ti può trascinare in qualunque luogo e in qualunque
tempo.
E lei che determina il grado di comunicabilità di una canzone.
E lei, soprattutto, che impone un segno e una magia ben precisi alle liriche.
Se infatti una melodia è forte al punto giusto, se "gira bene", come diciamo
noi in gergo, le parole sgorgano dal profondo con una facilità a dir poco irrisoria. E
proprio da questa osmosi nascono i "viaggi immaginari" di molte mie canzoni».
Ma
cè anche, ovviamente, uno stile di vita ben preciso: calmo, pacificato, in perfetta
sintonia con il proprio
Sè più riposto e con gli elementi della natura. «Sarà perché sono irlandese», dice
ancora Enya, «e lo sanno tutti che i popoli celtici hanno sempre considerato la natura
come uno scrigno popolato da moltissime divinità. O magari sarà per via della mia anima
molto melanconica: che non significa triste, ma pregna di quello "spleen" che
solo chi ha conosciuto le mie terre natali sa identificare a colpo docchio.
Sta di fatto che le emozioni che riempiono le mie canzoni non sono mai forzate,
nè, men
che meno, create da arte: al contrario, sono una parte essenziale di me.
E infatti le sento distintamente quando, di notte, ascolto i miei autori preferiti:
Rachmaninov e Satie. E ancor di più le sento quando abbozzo al pianoforte le melodie
delle mie canzoni, e mi lascio trascinare con loro verso mondi lontanissimi e forse
inesistenti.
E una sensazione meravigliosa, glielo posso assicurare».
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