gli crediamo sulla parola. E
dice pure che da questo immenso dolore non si sarebbe mai
riavuto se non avesse incontrato sulla sua strada un nuovo
"portale musicale" (definizione originalissima e
geniale, non vi sembra?) nella persona di Eraldo
"Eberhard" Bernocchi: che l’ha preso per mano e
pazientemente condotto fin dentro i misteri più
inavvicinabili della musica sintetica. Sia quel che sia,
questo sua prima esperienza in veste solistica è davvero
convincente e folgorante. Perché, da una parte, è la
prosecuzione logica degli ultimissimi lavori del Consorzio,
primo fra tutti il meraviglioso "Tabula rasa
elettrificata". Dall’altra, perché si muove verso il
personale e l’interno, anzichè verso il sociale e
l’esterno come era sempre successo in precedenza: fino a
scovare anfratti e precipizi - della personalità, della
psiche, dell’anima - che lo stesso Mastro Ferretti aveva
sempre ritenuto inviolabili. Il tutto declamato da quella
voce al vetriolo riconoscibile fra mille e mille. E, di
quando in quando, da ricami trombettistici (del grande
Toshinori Kondo) taglienti come spade.
L'intervista
Milano.
A vederlo arrampicato in cima a un palcoscenico, suo habitat
naturale da una quindicina d’anni almeno, Giovanni Lindo
Ferretti, leader incontrastato dapprima dei CCCP e poi dei
CSI, pare un tipo davvero lugubre. E anche triste,
introverso, disperato. Invece, a incontrarlo a tu per tu,
magari semplicemente in occasione di una conferenza-stampa
agile e piccolissima come quella organizzata venerdì 14
aprile alla "Salumeria della musica", per salutare
l’uscita in contemporanea del suo primo album solista
("Co.dex", edito dalla Mercury) e del libro
"In Mongolia in retromarcia" (Giunti di Firenze),
l’impressione cambia completamente: porta alla ribalta un
uomo giovialissimo e amabilissimo, dall’eloquio
sorprendentemente facile e divertito. E questo non avviene
di certo come logica conseguenza dello scioglimento di
quella che lui chiama "l’onorata società",
alias il Consorzio Suonatori Indipendenti, in sigla CSI:
accidente che, al contrario, continua a procurargli un
grandissimo dolore. Ma perché, molto più semplicemente,
Giovanni Lindo Ferretti è fatto proprio così: è
un’insanabile contraddizione vivente, un bilanciamento
pressochè perfetto di yin e di yang. E’ un’anima
leggera e moderna proprio perché antica, spumeggiante e
positiva a dispetto di un aspetto esteriore che pare la
sintesi di tutte le sventure possibili e immaginabili.
"Ma chiamale pure sfighe, che sono il mio pane
quotidiano dal giorno che sono nato", corregge lui
ridendo della grossa.
E poi, ragazzi: quanto parla, Giovanni Lindo Ferretti...
E’ un fiume in piena, un tifone tropicale, un affabulatore
da Guinness dei primati. Gli fai una domanda e lui ti
risponde per dieci, gli fornisci uno spunto e lui ci
costruisce attorno un trattato, gli affidi un argomento e
lui te lo moltiplica per cento e per mille, proprio come
nella parabola evangelica del pane e dei pesci. Insomma è
una manna caduta dal cielo, un’autentica benedizione per
chi - come noi - ha avuto in sorte di svolgere questo lavoro
di scritturale della notizia: che significa, spesso e
volentieri, doversi arrampicare sugli specchi per evitare le
secche della banalità elevata a sistema. Ma con uno colto e
intelligente come Giovanni Lindo, credeteci sulla parola, un
rischio del genere è del tutto inimmaginabile. E la vera
difficoltà immanente, perennemente in agguato, è semmai
quella di riuscire a inserire di quando in quando anche
qualche rapida domanda, dentro quel maestoso effluvio di
parole. Ma noi ci proviamo...
Lei,
Ferretti, è un cantante alquanto anomalo...
"Anomalo?!?
Grazie del complimento, e lo dico senza alcuna ironia! Io,
infatti, mi considero un "non cantante" in
assoluto, sono un puro e semplice "declamatore di
parole". Inoltre, non possiedo alcuna capacità
musicale e non ho nemmeno orecchio. Ma forse ho capito che
cos’è la musica nel suo intimo più intimo: è ciò che
sta fra la Terra e il Cielo, è l’unica delle arti che
riesca a espandersi e a occupare lo spazio, e poi salire,
salire, salire... E siccome le parole mi piacciono
moltissimo, sono anzi il vero e unico tesoro che posseggo,
lo scrigno capace di fare il punto, pubblico e privato, del
mio stato di riflessione attuale, ecco che la trasformazione
da "declamatore" a "cantante" è ben più
facile a farsi che a dirsi. Basta trovare il "portale
musicale" adatto all’esigenza...".
E
lei l’ha trovato, questo preziosissimo
"portale"?
"Certo
che sì, l’ho trovato in carne e ossa: che sono poi quelle
che fanno capo a Eraldo Bernocchi detto
"Eberhard". Vale a dire l’uomo che mi ha fatto
capire che cos’è la musica sintetica, che mi ha
approntato un sacco di "sampler" di batteria
affinchè io potessi scegliere quello più adatto alla
bisogna, che mi ha permesso di utilizzare il suono come
impagabile terapia per curare a fondo l’immane dolore che
mi ha procurato lo scioglimento dell’"onorata società".
Che a Berlino, dulcis in fundo, mi ha fatto conoscere
Toshinori Kondo...".
Intende
dire il grande trombettista giapponese?
"Proprio
lui. In "Warum", la canzone iniziale dell’album,
io avevo infatti deciso di utilizzare una voce giapponese
per evocare l’immane tragedia della seconda guerra
mondiale. Doveva soltanto dire "hai", quella voce,
un "hai" molto forte, chiaro e drammatico: e
dunque l’impresa non era per niente complicata. Così, io
e Bernocchi siamo andati nel nostro solito ristorantino
giapponese di Berlino, e lui che parla anche l’inglese (io
no, io parlo soltanto l’italiano: decentemente, oso
sperare) l’ha chiesto al cuoco. Ma quello gli ha risposto
che non se la sentiva, ma che in compenso c’era un suo
amico - "si chiama Kondo" - che sarebbe stato
perfetto nella parte. E quando questo Kondo arriva in studio
di registrazione, con mia grande sorpresa scopro che è un
trombettista eccezionale, e dunque in grado non soltanto di
declamare un "hai" con i controfiocchi, ma anche
di sparare due assoli da mille e una notte in
"Warum" e "Sospeso". E niente mi toglie
dalla mente il sospetto che Bernocchi lo sapesse già, e che
si sia messo d’accordo con il cuoco giapponese per farmi
uno scherzo. Assolutamente geniale e graditissimo, inutile
sottolinearlo".
Vista
la sua passione per le parole, signor Ferretti, come
potremmo definire questo "Co.dex": forse il suo
primo lavoro cantautorale?
"Per
carità di Dio... Io detesto i cantautori, tronfi ed
eccessivi come sono stati, sono e sempre saranno! Non hanno
ancora capito che certe parole che suonano fantastiche sulla
carta bianca, una volta trasposte in musica diventano
semplicemente orribili. Perché la stuttura musicale
aggiunge molto al testo, che, di conseguenza, per trovare un
bilanciamento perfetto, deve essere opportamente
"asciugato" ed essenzializzato. Ma una banalità
del genere, i cantautori non la capiranno mai!".
E
allora, questo "Co.dex"?
"Mettiamola
così: è la prosecuzione logica e naturale di "Tabula
rasa elettrificata". Solo che, là, il mio
"viaggio" si dirigeva verso l’esterno, per
andare a rivisitare i "miti" e i desideri della
mia adolescenza: di cui il decorrere della storia ha fatto
"tabula rasa". Qui, invece, questo stesso viaggio
avviene all’interno di me stesso, fino a toccare profondità
e anfratti che fino a ieri ritenevo assolutamente
inviolabili. E invece ce l’ho fatta, e la cosa mi riempie
di una soddisfazione indicibile". |