Però Sainkho Namchylak, la grande cantante di Tuva che l'ha ideato e realizzato in
proprio, con l'apporto determinante di alcuni eccellenti musicisti di Mosca, lo ritiene
ugualmente fondamentale.
Un po' perché segna
il suo ritorno sulle scene, dopo che una brutta malattia scoperta per caso (un tumore al
cervello, per la precisione) sembrava averla condannata per sempre. E un po' perché il
sottotitolo dell'album recita testualmente: "Seven songs for Tuva"; e tanto
basterebbe a dimostrare quanto solidi siano i vincoli che ancora la legano, dopo anni di
sperimentazione vocale, alle sue lontane terre natali, strette a tenaglia fra la Mongolia
e la Siberia.
L'intervista
E ora Sainkho è qui,
sorridente e rilassata, pronta a rispondere a ogni tipo di domanda. Soprattutto a ribadire
il concetto già espresso a chiare lettere nelle note di copertina del suo lavoro:
"Spero che la mia gente riesca finalmente a capire che io sono un'artista del mondo,
e che la musica che faccio non ha confini: nè geografici, nè di genere, nè di stile.
Perché il mio è, essenzialmente, un messaggio d'amore".
Cominciamo proprio
da "Time out", signora Namchylak: un disco di "pure" canzoni, e dunque
alquanto strano per chi è abituato ad ascoltarla duettare con il sassofono di Evan
Parker, o con il contrabbasso di Peter Kowald...
"Ne sono più che convinta. Ma, vede, dopo sette anni (abbondanti) totalmente dediti
alla sperimentazione vocale, mi sembrava giusto fare un passo indietro. O forse, chissà,
un passo avanti, visto che la mia intenzione attuale è di inserire nel corpo delle
canzoni tutto quel che ho appreso dalla sperimentazione. Infatti, ora, sto studiando cose
molto semplici: soprattutto il melodramma e i "songbook" di molti autori
contemporanei, Beatles compresi. E non le nego che questa "scoperta" mi ha
aiutato parecchio, a combattere l'immancabile depressione del dopo-malattia. Mi ha reso
felice, insomma".
Lei ha iniziato la
sua carriera come folk-singer. Che cosa l'ha spinta, a un certo punto, a intraprendere la
strada della sperimentazione?
"La scoperta, molto amara in verità, che per la mia voce, nel campo del folk, non
c'era praticamente spazio: era troppo "colta", troppo duttile e umbratile, per i
gusti comuni della gente. Così - una decina d'anni fa, come le dicevo - ho cominciato ad
allargare i miei parametri di riferimento. E, così facendo, ho avuto la fortuna di
imbattermi in musicisti straordinari come Parker e Kowald: gente che fa della musica la
propria ragione d'esistenza, e che non è disponibile a compromessi di sorta. Da loro ho
imparato moltissimo, e proprio per questo ora sono pronta a ritornare alle mie radici,
arricchendole di tutto quanto ho appreso lungo la strada...".
In realtà, il
modulo tradizionale di canto del suo paese, il cosidetto "throat singing",
comincia a essere conosciuto anche da noi. Non a caso un "vocalist"
straordinario come Demetrio Stratos, purtroppo prematuramente scomparso nel 1979, l'aveva
preso come parametro di riferimento della sua arte vocale...
"Me l'hanno già detto in molti, ma io, purtroppo, non sono mai riuscita ad ascoltare
Demetrio, nè dal vivo nè su disco: spero di poterlo fare quanto prima. Ad ogni modo, il
patrimonio vocale di Tuva è assolutamente straordinario: ed è un vero piacere constatare
che un numero sempre più grande di interpreti comincia a esserne seriamente
influenzato...".
Ci può dire, in un
paio di parole, in che cosa consiste questo patrimonio?
"Con grande piacere. Nel "throat singing" di Tuva ci sono, essenzialmente,
due grandi filoni: le "daily light songs" e la "cult music". Il primo
filone si compome di canzoni liriche, intimamente connesse all'amore e alla natura, e di
"work songs": che, in maniera del tutto simile alle omologhe canzoni del
patrimonio folklorico dei neri d'America, servono per rendere più accettabile e armonioso
l'impegno lavorativo. Lo scopo delle "work songs", infatti, è quello di
stabilire un legame soddisfacente con gli animali: pecore e asini, yak e bestie da soma in
genere...".
E la "cult
music", invece, che cos'è?
"E' un tipo di musica molto più rituale: più sacra, se preferisce. Riunisce in sè
le cosidette "greeting songs", cioè le canzoni per lo spirito (dell'uomo ma
anche della natura); e poi le canzoni sciamaniche, melodie molto semplici da ripetere
"ad libitum", come autentici mantra; e infine le canzoni
"lamanistiche", in genere riferite a Buddha e alle centinaia di Bodhisattvas che
popolano la nostra religione. E, personalmente, devo dire che sono proprio le canzoni
della "cult music" quelle che mi danno più soddisfazione. Perché, quando le
canto, cerco di creare un collegamento diretto fra la Terra e il Cielo".
Anche se ora non
abita più a Tuva?
"Certo. Ora sto a Vienna, dove sono membro della "Austrian Composers
Society", ma le posso assicurare che lo spirito si può elevare in qualunque parte
del mondo, anche la più industrializzata e disgraziata. Basta averne voglia". |