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Musica per l'anima

a cura di Roberto Gatti

 

L’appuntamento è per  le 11,30 di un qualunque giorno dei primi di luglio, nella hall del Grand Hotel Excelsior di Montreux.  E Ryuichi Sakamoto  vi giunge  nel modo  a lui da  sempre congeniale: silenzioso  come un’apparizione celestiale,

quasi camminando su una nuvoletta, un sorriso appena percettibile sulle labbra e un lampo vivacissimo in fondo agli occhi, ben mascherati da un paio di occhialoni da vista grandi e spessi. I capelli a caschetto sono ormai completamente grigi, la mise come sempre nera, la stretta di mano franca e amichevole: straordinariamente contrastante rispetto al tono della voce, che esce dalla gola come un sussurro fioco e circospetto, e non si capisce se sia per l’innata timidezza o per la proverbiale riservatezza che contraddistingue, in genere, l’intero popolo giapponese. Sta di fatto che anche alzando la massimo il volume del registratore quel che rimane impresso su nastro è poco più che un lamento, e quindi bisogna integrare l’audio con il taccuino e la scrittura a mano, e tutti e due con la decrittazione di ciò che appare fuggevolmente sulle sue labbra. Che si muovono al ritmo di un inglese molto fluente e charmant, quasi del tutto privo di quelle taglienti durezze che tradizionalmente caratterizzano il "nippon english", e di gran lunga privilegiano le risposte secche, quasi scheletriche, all’eloquio torrenziale così caratteristico di tanti suoi colleghi. Premesso questo, si può anche cominciare...

L'intervista

Mister Sakamoto, per strano che possa sembrare questo è il suo debutto assoluto al Montreux Jazz Festival...

"E’ vero, e per me è un grande piacere e un immenso onore essere qui. Tant’è vero che per questa mia "prima volta", oltre ai miei abituali compagni di trio - la violinista inglese Sonia Slany e il violoncellista brasiliano Jaques Morelenbaum - ho invitato anche una straordinaria cantante mongola: Sharyn Chimedtseye".

Un nome praticamente sconosciuto in Occidente...

"Già, e invece lei è un vero e proprio incanto. E’ nata nel 1956 a Ohrubayan, nella provincia mongola di Suhbaatan, e ha studiato canto - il tradizionale "urtyn duu", che si può all’incirca tradurre come "forma lunga" - al Conservatorio di Ulaan Baatar. La prima volta che l’ho sentita - l’anno scorso, in Corea - ho pensato: "Mio Dio, ma com’è possibile cantare così divinamente bene?!?". Poi non ho pensato più a niente: sono rimasto ad ascoltarla a bocca aperta. E sono convinto che la stessa cosa faranno anche quelli che andranno a sentirla la sera di domenica 9 luglio, alla Miles Davis Hall..." (confermiamo in pieno, è andata proprio così: n.d.r.).

E comunque lei, per questa sua prima assoluta, ha preparato un concerto molto vario e molto mosso. Infatti, dopo Sharyn, si esibirà da solo nelle vesti di disc-jockey...

"E’ vero: avrò due giradischi, due lettori di cidì, un lettore Dat, un microfono, un sacco di armamentari elettronici. A volte mi piace lavorare in questo modo, perché con la musica elettronica si ha il controllo totale del risultato finale. Però è anche giusto non eccedere in esperimenti di questi tipo: finiscono per diventare stucchevoli...".

E infatti, subito dopo, lei introdurrà il suo trio abituale...

"Già, mi piace molto la forma del trio. Ho cominciato a sperimentarla circa tre anni fa, e trovo che il "piano trio" sia la forma minima in grado di esprimere al meglio l’essenza della mia musica: che per altro rende bene anche con formazioni molto più vaste, o almeno credo... Ma il trio, insomma... è la quintessenza stessa delle mie partiture: soprattutto le ultime, quelle contenute in "BTTB" (un acronimo che sta per Back To The Basic: n.d.r.). E poi Jaques Morelenbaum è un musicista assolutamente fantastico, non a caso è l’arrangiatore di tutti gli ultimi lavori di Caetano Veloso. E Sonia Slany - che ho conosciuto qualche anno fa, a Londra, quando ho partecipato al "Meltdown Festival" diretto da Laurie Anderson - è una violinista davvero eclettica. Ha una formazione solidamente "classica", tant’è vero che l’ensemble in cui opera abitualmente è il Solid String Quartet, ma il suo modo di suonare è tutt’altro che "classico": è un po’ minimalista, un po’ punk e un po’ rock. Insomma, l’ideale per me".

Ma lei è qui anche per presentare alcuni temi tratti dalla colonna sonora di "Gohatto", l’ultimo film di Nagisa Oshima.

"Certo: il suo primo film dopo quindici anni di "black out" totale, dai tempi di "Max mon amour"... E’ stato bello tornare a lavorare con lui, dopo l’esparienza di tantissimi anni fa con "Merry Christmas, Mr. Lawrence". Infatti Oshima è un regista che non dà mai direttive, lascia sempre una totale libertà d’azione.E’ una qualità più unica che rara nel mondo della cinematografia contemporanea, che io ho utilizzato per ideare una colonna sonora a metà strada fra l’ambient e il melodico.In altre parole, ho cercato di architettare una mediazione fra l’ambient totale di "Love is the devil" e le melodie ondivaghe di "Beauty". Spero di esserci riuscito".

Ha appena citato "Beauty": vale a dire, a detta di molti, il suo lavoro più bello da quindic’anni a questa parte. Prevede un seguito di questo splendido disco?

"Perché no? Ho molte idee che mi frullano per la testa di questi tempi - mi pare di essere un cacciatore che attende pazientemente l’arrivo della preda - e una di queste potrebbe benissimo essere un qualcosa di molto vicino a "Beauty"...Tant’è vero che sto incontrando un sacco di musicisti africani, indiani e coreani, con cui creare quelle "fusioni" fra Oriente e Occidente, e fra Ancestrale e Futuribile, che mi appassionano tanto. Un’altra "preda" potrebbe invece essere una modernizzazione dell’antica musica bizantina, che già avevo ascoltato quando ero studente e mi aveva affascinato moltissimo. L’avevo come gettata nel dimenticatoio, ma qualche tempo fa, riascoltandola per caso, mi ha riconquistato completamente. Perché ci sono, lì dentro, due radici fondamentali della cultura europea, Roma e Bisanzio: con un pochino d’Arabia a fare da spezia...".

Altri progetti cinematografici?

"Forse uno con Bernardo Bertolucci, con cui ho già collaborato in passato per "L’ultimo imperatore" e "Piccolo Buddha". Ma il soggetto per il momento è "top secret", e la discussione al riguardo ancora totalmente aperta. Se son rose..."

  Di Roberto Gatti

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