Il primo risultato è stato che a Trieste anche
l'Amministrazione Bush ha detto pubblicamente che il
clima cambia, e che bisogna intervenire al più
presto. È un passaggio importante, poiché Bush ha
deciso di andare contro la parte più tradizionalista
del Senato di Washington secondo la quale l'effetto
serra è una fantasia degli ecologisti.
Christie Whitman, ex governatrice del New Jersey e
nuova amministratrice dell'Epa (www.epa.gov),
l'Agenzia di protezione ambientale che corrisponde
ai nostri ministeri dell'Ambiente, ha chiarito
subito la posizione americana. Ovvero:
* voi europei mettete limiti alle emissioni, fate i
virtuosi, ma non avete ancora introdotto alcuna
politica di riduzione delle emissioni, che
continuano ad aumentare; noi invece vogliamo i
risultati, e le emissioni le abbiamo già ridotte;
* fateci firmare una base negoziale che sia
ratificabile dal nostro Senato, perciò un testo
comune di basso profilo, e poi dopo la ratifica
cominceremo a concordare insieme gli aspetti
applicativi molto più severi e in linea con
l'Europa.
Un secondo risultato si è raggiunto per quanto
riguarda gli "strumenti internazionali", cioè la
possibilità di ridurre le emissioni di gas serra
attraverso investimenti in altri Paesi.
I Paesi con rendimenti energetici molto alti (come
l'Italia, povera di risorse energetiche), per i
quali per ottenere un beneficio modesto servono
investimenti spropositati, possono contabilizzare
fra i loro miglioramenti ambientali anche gli
interventi fatti all'estero. Si può immaginare per
esempio un investimento di un Paese sviluppato sulle
vecchie centrali elettriche a carbone cinesi: se
l'azienda occidentale trasforma l'impianto obsoleto
in una moderna centrale turbogas a ciclo combinato
alimentata con metano, il miglioramento ottenuto è
accreditato al Paese che ha investito.
Questo tipo di intervento, concepito per Paesi ad
alta efficienza energetica, è piaciuto subito agli
Usa, sebbene la loro abbondanza di risorse non ne
abbia fatto un Paese efficiente sul fronte
dell'energia. Infatti l'export di tecnologie
assicura nuovo business all'estero e rafforza le
posizioni commerciali. Infine accredita come
nazionale un investimento condotto all'estero: ciò
consente di tagliare un po' meno, insieme con le
emissioni di anidride carbonica, anche l'economia
nazionale.
Gli Usa non vogliono porre barriere a questo
strumento. L'Europa invece voleva porre limiti forti
al ricorso all'export delle tecnologie energetiche.
Su questo aspetto si è bloccato, in dicembre, il
negoziato dell'Aja dedicato agli strumenti
applicativi dell'accordo di Kyoto.
A Trieste nel Palazzo della Regione è stato
raggiunto l'accordo che non pone percentuali rigide
alla negoziazione internazionale delle emissioni. Ma
dà la precedenza agli interventi nazionali; il
miglioramento raggiunto all'estero è aggiuntivo e
non si sostituisce a quello ottenuto in Patria.
In cambio gli europei hanno messo a segno un punto
in un altro settore. Quello alimentare: la carne Usa
agli ormoni, la soia transgenica ecc. Significa che
anche gli Usa devono accettare il principio europeo
di precauzione, in base al quale si possono imporre
divieti anche se la pericolosità di un prodotto non
è provata.
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