Si stima che le immissioni di idrocarburi si
aggirino intorno al milione di tonnellate annue. Il
dato emerge dal dossier di Legambiente, 'Mare
Monstrum'. Gli effetti di questo inquinamento sono
aggravati da alcune caratteristiche specifiche del
Mediterraneo: un mare chiuso e poco profondo, con un
lento ricambio d'acqua, densamente abitato lungo le
coste e tra le più importanti mete turistiche del
mondo. Il traffico petrolifero nel bacino ammonta a
300 milioni di tonnellate annue, più del 25% del
traffico mondiale. Una cifra impressionante,
commenta Legambiente, per un bacino che costituisce
appena lo 0,7% della superficie delle acque
mondiali, ma in cui viene movimentato il 16% delle
merci trasportate via mare. In Italia nel '98 sono
transitate nei porti italiani complessivamente 123
milioni di tonnellate di petrolio greggio, in gran
parte nei porti dell'Adriatico. Il petrolio che
finisce in mare proviene dalle petroliere, dagli
scarichi da terra, dalle piattaforme off-shore di
produzione. Gli sversamenti dovuti ad incidenti sono
solo una piccola parte, mentre il grosso delle
perdite, dall'80 al 95%, avviene per operazioni di
routine, come il lavaggio delle cisterne e lo
zavorramento. Le navi vuote, rileva l'associazione,
per aumentare la stabilità, riempiono parzialmente
di acqua le cisterne, che, prima dell'arrivo nei
porti d'imbarco, vengono scaricate in mare insieme a
grandi quantità di residui petroliferi. Gli effetti
degli sversamenti di petrolio nell'ecosistema marino
dipendono da molti fattori concomitanti: quantità
sversata, modalità dell'incidente, distanza e
morfologia della costa, condizioni meteorologiche.
In generale, uno sversamento consistente produce
effetti acuti nel breve termine e cronici nel lungo
periodo sugli organismi marini (in particolare sulle
uova e sui piccoli pesci), sui crostacei (ad esempio
lo zooplancton, che rappresenta la principale fonte
di cibo per pesci), sugli invertebrati filtratori
(coralli, spugne, anemoni di mare, bivalvi, ecc.) e
sull'avifauna che viene a contatto con gli strati
oleosi galleggianti. Il petrolio che sedimenta sul
fondo è quello più dannoso per l'ecosistema marino:
analisi condotte sui sedimenti di una spiaggia
inquinata hanno evidenziato che alcune componenti
idrocarburiche rimanevano assolutamente inalterate
per molti anni. Il petrolio sedimentato nei fondali
può interferire con la vita sia degli organismi
superiori che dei microorganismi.
Agli idrocarburi poi occorre aggiungere l'enorme
quantità di scarichi chimici e organici provenienti
dallo sversamento in mare di fiumi inquinati o di
fogne non depurate ad opera di tutti i paesi che vi
si affacciano.
Il piano dell'ONU prevede uno stop a tutti gli
inquinamenti dalla terra al mare, entro il 2025: 2
milioni di tonnellate di scarichi chimici e organici
dovranno essere depurati o semplicemente eliminati
dalla produzione. L'Italia ha sottoscritto il piano,
assieme a gran parte dei paesi del Mediterraneo,
gia' nel 1996 (con la firma del protocollo LBS,
"land based sources"), e lo ha ratificato con una
legge nazionale. Nei giorni scorsi, a Catania, in un
meeting internazionale organizzato dal programma
ambiente delle Nazioni Unite, sono stati definiti i
tempi e i metodi per la trasformazione del
Mediterraneo da fogna a cielo aperto a ecosistema in
buona salute. Nei prossimi 20 anni, per ripulire il
nostro mare dal cloro, dalla diossina e
dall'inquinamento organico, serviranno sei miliardi
di dollari: per ora il Global Environmental Fund
della banca mondiale ha stanziato solo sei milioni
di dollari. Ma l'eliminazione sara' progressiva e a
doversene in gran parte incaricare saranno proprio i
27 paesi mediterranei, a cominciare dal prossimo
incontroche si terrà a Venezia (28-31 maggio), dove
si stabiliranno ufficialmente le dismissioni delle
emissioni inquinanti nel Mediterraneo.
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