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La voglia di cibi grassi (19/01/2012)

 

Una recente ricerca ha acceso i riflettori di stampa e web sul piacere di mangiare i cibi grassi. Per capirne di più vediamo rapidamente i risultati di questa e di altre due ricerche.

Verso la fine del 2001 il dr. Richard Matthes ha guidato un gruppo di studio presso la Purdue University dell'Indiana (U.S.A.) giungendo alla scoperta che anche il grasso ha un sapore. Per anni si è pensato che le categorie dei sapori base fossero quattro e cioè il dolce, l'amaro, il salato e l'acido; il grasso è sempre stato considerato solo un trasportatore del sapore in quanto sostanza che da struttura al cibo ma priva di sapore proprio.
Matthes spiega che il fatto che i cibi grassi siano più gustosi va ricercato proprio nel fatto il grasso è un sapore base.

Matthes e colleghi si sono chiesti se fosse davvero il sapore a contare oppure l'odore e per saperlo hanno condotto alcuni test. Come elemento di riferimento è stato preso in considerazione il fatto che già solo assaggiando un alimento grasso il livello di lipidi nel sangue aumenta.
Dalle analisi del sangue dei soggetti coinvolti nell'esperimento è emerso che i livelli di grasso triplicavano immediatamente negli individui cui era consentito di annusare ed assaggiare il prodotto; chi lo assaggiava solo senza annusarlo presentava un aumento del tasso di grasso in circolazione; nulla accadeva in coloro cui era permesso solo annusare. Conclusione: è il gusto che fa innalzare i tassi di grasso nel sangue; è dunque al sapore e non all'odore che il nostro organismo risponde.

Un altro importante studio, forse più utile per capire perché i cibi grassi piacciono così tanto, pubblicato negli Atti dell'Accademia Nazionale delle Scienze, indica per la prima volta che la segnalazione degli endocannabinoidi nell'intestino svolge un ruolo importante nella regolazione dell'assunzione di grassi.
In passato si pensava che la segnalazione fosse limitata a ricettori nel cervello. Lo studio preclinico condotto dall'unità D3 (Drug Discovery and Development - scoperta e sviluppo di farmaci) dell'Istituto Italiano di Tecnologia e dall'Università della California, Irvine, ha dimostrato che un pasto contenente grassi porta alla produzione di endocannabinoidi, una famiglia di lipidi biologicamente attivi, nell'intestino superiore.
Secondo lo studio, zucchero e proteine non hanno questo effetto.

Spiega il Dr. Daniele Piommelli, Direttore Scientifico del D3 che Sappiamo che i cibi grassi generano un segnale nella lingua che risponde nell'intestino tenue, facendo produrre al corpo, naturalmente, sostanze chimiche analoghe a quelle della marijuana, in una potente risposta positiva, ripetitiva, cha porta a riassumere i grassi.

E veniamo al nuovo studio, quello condotto dai ricercatori della Washington University School of Medicine in St. Louis, che hanno trovato un rapporto tra una particolare variante del gene CD36 e il livello di sensibilità alla presenza del grasso che mangiamo.
Secondo Nada A. Abumrad, PhD, il Dr. Robert C. Atkins Professor of Medicine and Obesity Research, uno dei principali autori della ricerca, in questo studio è stata trovata una delle potenziali ragioni per la variazione della sensibilità individuale ai grassi. Potrebbe essere che più le persone consumano grassi meno sono sensibili a questi, e quindi, ne hanno bisogno di più per averne la medesima soddisfazione. Determinare cosa influisce su questa sensibilità può avere un peso sulla gestione del problema dell'obesità.

Secondo M. Yanina Pepino, PhD, coautrice dello studio, il gene CD36 ha un ruolo fondamentale nell'assunzione e nella digestione dei grassi.
Il 20% delle persone ha una variante di questo gene che è associata con una significativamente minore produzione della proteina CD36, il che significa che costoro sono meno sensibili alla presenza di grasso nei cibi.
La dieta può influire sulla sensibilità ai grassi e, negli animali, la dieta influenza anche la quantità di CD36 prodotta. Negli animali una dieta con molti grassi porta ad una minore produzione di CD36, che porta, a sua volta, ad una minore sensibilità ai grassi.

Consideriamo poi che la dieta contiene grassi, principalmente sotto forma di trigliceridi, che sono formati da acidi grassi e da glicerolo. Secondo la Pepino, probabilmente un enzima della saliva chiamato lipase rompe i trigliceridi rilasciando acidi grassi mentre i grassi sono ancora nelle bocca; il ruolo della lipase, secondo la Pepino non è chiaro, negli esseri umani, anche se sembra di capire che ad una minore produzione di lipase corrisponda una minore capacità di rilevare i trigliceridi. Nessun problema, invece con gli acidi grassi.

Come si vede gli elementi che influenzano la voglia di assumere cibi grassi sono molti e complessi, e dovremmo aggiungere le componenti psicologiche e psicosomatiche che con questi elementi interagiscono. E' difficile attribuire tutto ad una sola causa.

Per saperne di più
Cibi grassi: buoni ma danno dipendenza come la marijuana (05/07/2011)

Il sapore del grasso: una ricerca squisitamente USA (11/12/2001)

Receptor for tasting fat identified in humans
Washington University in St. Louis

(Marco Dal Negro)

 

 


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(del Dott. Turetta)
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