La glicemia alta dopo i pasti è indice di diabete più di quella a digiuno, nonostante sia quest’ultima a essere misurata abitualmente perché è più semplice farlo.
"La rilevazione glicemica postprandiale riesce a identificare un caso di diabete su 3", afferma Gabriele Riccardi, presidente della Società italiana di diabetologia (Sid), dal Congresso europeo sul diabete, in corso a Lisbona.
Non solo: per chi ha già il diabete di tipo 2, un'elevata glicemia dopo i pasti è un indicatore di maggior rischio di eventi cardiovascolari e morte. E' quanto emerge dal San Luigi Gonzaga Diabetes Study, lo studio più ampio e più lungo mai condotto sull'argomento.
Obiettivo della ricerca, condotta dai ricercatori dell’Azienda ospedaliero-universitaria San Luigi Gonzaga di Orbassano (Torino) su oltre 500 diabetici di tipo 2 seguiti per 14 anni, era valutare quale parametro fra glicemia a digiuno, glicemia postprandiale ed emoglobina glicata fosse maggiormente predittivo della probabilità di andare incontro a complicanze cardiovascolari e morte, che hanno riguardato negli anni, rispettivamente, il 34% dei pazienti e il 29%.
E’ risultato che l’iperglicemia postprandiale e l’emoglobina glicata elevata aumentano il rischio in modo molto più importante dell’iperglicemia a digiuno.
Mariella Trovati, coordinatrice della ricerca e ordinario di Medicina interna alla Facoltà di medicina San Luigi Gonzaga dell’università di Torino, spiega che numerosi studi hanno dimostrato che l'iperglicemia postprandiale danneggia i vasi sanguigni soprattutto incrementando la formazione dei radicali liberi dell’ossigeno.
Ora i dati clinici evidenziano che il danno vascolare si traduce in un importante aumento degli eventi cardiovascolari, tra cui l’infarto del miocardio e l’ictus, e della mortalità, suggerendo che sia utile controllare la glicemia prima e dopo i pasti con una frequenza che varia a seconda degli stadi della malattia".
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