Sono due cose molto diverse. "Chi si accontenta
gode... così e così" dice una canzone di Ligabue e
si adatta perfettamente al nostro caso.
Facendo sesso si è più da soli mentre facendo
all'amore si è più insieme.

Il bacio di Rodin
Nel primo caso si è facilmente più rivolti al
proprio piacere, ci si preoccupa di ricevere, di
sentire, di provare piacere, spesso nell’immediato,
qui e ora, anche senza preoccuparsi tanto di chi ci
è a fianco che è spesso importante solo per
soddisfarci. Si è più soli, non si comunica.
Fare
all’amore è, invece, vivere il piacere insieme, è un
dialogo, non sono due monologhi.
Per fare sesso non c’è assolutamente bisogno di
intimità: si può fare comunque, se ne ottiene un po’
di piacere ed è finita lì.
Ho
detto un po’ di piacere perché è veramente poco in
confronto a quello che se ne ha facendo all’amore.
L’intimità è parte integrante del fare all’amore, è
avvicinarsi più fiduciosi, consapevoli di
condividere qualcosa, di vivere insieme quello che
si fa, non con spirito critico, non pronti a
giudicare se chi ci è vicino è capace, o vuole,
darci tutto il piacere che ci spetta e che vogliamo.
E’ stare insieme perché se ne ha voglia, perché si
sta bene insieme, con la voglia di fare star bene
l’altro come stiamo bene noi.
E’
ancora condividere.
E se l’altro, o l’altra, non fa quanto ci aspettiamo
saremo noi ad aiutarlo, a far capire, a pilotare, ma
senza astio e senza sentirsi defraudati, perché se
l’approccio è lo stesso da parte di tutti e due non
ci sarà stato egoismo consapevole.
Sapendo poi che le cose stanno così saremo molto più
rilassati e meno assaliti dall’ansia di prestazione,
“rendendo” molto di più e gustandoci con molta più
intensità quello che succede.
Il
piacere nasce nelle emozioni, e attraverso la
stimolazione di qualche terminazione nervosa ci fa
vivere momenti fantastici.
Se
togliamo le emozioni e lasciamo solo la stimolazione
nervosa togliamo l’80% del piacere.
Chi
identifica il piacere con la stimolazione meccanica,
pure esperta, non ha, purtroppo per lui (o per lei),
mai provato ciò di cui stiamo parlando, non sa
nemmeno di cosa stiamo parlando.
Il
piacere del fare all’amore è qualcosa che tutti
posiamo vivere, è molto più facile di quanto si
pensi, è una questione di approccio, di come e
perché stiamo per fare ciò che stiamo per fare.
Tra
fare sesso ed fare all’amore non c’è una separazione
netta, precisa, ci sono sfumature, differenze, di
situazioni, di persone, di momenti, anche se
l’esperienza insegna che si incontrano più
facilmente persone che tendono decisamente ad essere
in un modo o decisamente nell’altro.
Ci sono maschi per i quali la persona con cui fare
sesso è lì giusto per stimolare la produzione di
sperma e per raccoglierlo. Come un sacchetto, meglio
se autopulente.
Ci sono femmine per le quali la persona con cui fare
sesso è lì giusto a fare da vibratore,
autolubrificato, termoregolabile, meglio se
multiplo, con batterie a lunghissima durata.
“Chi si accontenta gode… così
e così” dice una canzone di Ligabue e si adatta
perfettamente al nostro caso.
Non
sempre sono riconoscibili a colpo d’occhio: a volte
si mimetizzano, si vestono da persone affascinanti,
interessanti, come se dentro avessero chissà quali
belle cose che vogliono donare proprio a noi, ed
invece poi dentro c’è solo la facciata, come le case
finte, di legno, dei film western girati negli studi
o quelle virtuali digitali, che sembrano stupende,
online, ma che fanno schifo quando ci arrivi.
Certo
con questi è una gara dura e chi pensa di cambiarli
è come chi pensa di raddrizzare le gambe ai cani.
Improbabile.
Va bene quando si trovano tra di loro.
Ci
sono anche questi, ma ci sono anche altri, per
fortuna…
Molti
abbandonano i trattamenti per la disfunzione
erettile e lo fanno indipendentemente dall’efficacia
dei prodotti assunti.
La
scienza ha cominciato a domandarsi perché e le
risposte potrebbero non essere scontate.
Nell’analizzare il problema, i ricercatori si sono
concentrati maggiormente sul mondo che riguarda chi,
tra i diversi farmaci disponibili, ha utilizzato
quelli basati sugli inibitori della fosfodiesterasi
di tipo 5 (PDE5).
La segnalazione è doverosa, anche se poco rilevante
ai fini di quanto ci interessa sottolineare.
Un
primo elemento emerso dagli studi sull’argomento è
rappresentato dal fatto che gli abbandoni sono
avvenuti nell’ambito di terapie di lungo periodo. I
farmaci quindi vengono presi, ma dopo un certo
periodo vengono spesso abbandonati perché non danno
i risultati desiderati.
Ma
quali sono i risultati desiderati?
Molti
immaginano, sperano, di avere trovato la pillola
magica, la pillola di Aladino: la prendi e ritorni,
(o diventi) come forse eri in altri momenti della
vita, ma non è così.
La pillola svolge una
funzione fisica, idraulica, non psicologica, non fa
tornare la voglia di… vediamo, fare sesso? Fare
all’amore?
Ritrovare un’intimità, magari anche affettiva, e
perché no, psicologica, potrebbe anche farci
tornare/diventare affascinanti, in modo da suscitare
il desiderio altrui nei nostri confronti.
In fondo siamo in un momento difficile, perché non
dovrebbe risolvere un po’ dei nostri problemi?
Perché quella è solo una pillola e noi siamo
complessi, pieni di variabili, diversi uno
dall’altro ma unici, e per risolvere il problema
dobbiamo metterci anche un po’ del nostro.
Quindi se non c’è prima la voglia, non ne usciamo
soddisfatti.
Ma
c’è un’altra osservazione che è venuta fuori.
Gli studiosi cominciano a fare differenza tra la
terapia per la disfunzione erettile
medicalizzata e quella erotizzata, se
così possiamo chiamarla, mettendole in
contrapposizione.
Cioè:
prendere il farmaco da solo non va bene perché non
dà al paziente le risposte che cerca, mentre se a
partire dalla prescrizione la cosa viene condivisa
con l’eventuale partner affrontandola come una
scelta da condividere che contribuisce a far vivere
meglio la sessualità insieme, allora funziona molto
meglio e più a lungo.
La
novità è nel fatto che si afferma chiaramente che
l’efficacia di un farmaco è legata al modo con cui
viene vissuta la terapia.
Ed è curioso anche il
fatto che degli scienziati ritengano “questo modo”
(che ricorda tanto l’effetto placebo) essere una
sorta di amplificatore del farmaco, necessario per
la soddisfazione del paziente.
Perché chi prende il farmaco non vuole solo avere
grandi erezioni, ma vuole vivere bene la sessualità,
cosa improbabile senza adeguate erezioni.
Tutto
ciò è così estraneo alla mentalità farmacologica
dove un farmaco funziona e basta, non importa con
che stato d’animo lo prendi.
Ecco perciò che gli
scienziati invitano a superare l’approccio
introverso ai piaceri della carne nel quale manca la
confidenza: se prendo la pillola da solo nessuno si
accorgerà dei miei problemi e mi tratterà in modo
normale, come sempre, perché le persone sono sempre
pronte ad azzannare e a dare addosso a chi mostra
delle debolezze.
Invece i ricercatori sono quasi rivoluzionari:
invitano a parlare con chi ci sta vicino e a
condividere anche questa intimità.
Grandi (Link…).
Per saperne di più sulla disfunzione erettile…
Marco Dal Negro |