Quando prendiamo l'influenza il nostro corpo
normalmente reagisce con un'azione del sistema
immunitario che produce le cellule necessarie per
eliminare gli elementi patogeni.
Una volta eliminato il problema, il sistema
immunitario si mette a riposo lasciando a guardia
una popolazione di cellule dotate di memoria, che,
quando necessario, daranno nuovamente l'allarme.
Questo è il motivo per cui funzionano i vaccini ed
un volta avuta la varicella non si riprende più.
Ma quando l'infezione diventa cronica le cose
cambiano, come nel caso dell'epatite C, dell'AIDS o
della malaria, quando sistema immunitario e patogeni
combattono una guerra di trincea e nessuno dei due
riesce a vincere.
Con il passare del tempo le cellule del sistema
immunitario diventano esauste ed il sistema
immunitario può cedere lasciando il campo libero
alla infezione.
Un nuovo studio della Perelman School of Medicine,
University of Pennsylvania mostra come tutto ciò
avviene; quanto emerso offre un nuovo approccio
terapeutico che potrebbe essere utilizzato per
spostare gli equilibri delle forze a favore del
sistema immunitario, nel caso di infezioni croniche.
Un gruppo di lavoro coordinato da E. John Wherry,
PhD, professore associato di microbiologia e
direttore dell'Istituto di immunologia ha utilizzato
un modello di infezione virale cronica nei topi per
mappare la risposta dei linfociti T che si sviluppa
quando il sistema immunitario si trova a
fronteggiare un attacco prolungato. I ricercatori
hanno trovato due distinte classi di linfociti T
CD8+ specifici per i virus, che esprimono
rispettivamente alti livelli di proteina T-bet e di
proteina Eomes, e che lavorano insieme per tenere
l'infezione sotto controllo.
In particolare i ricercatori hanno trovato che le
due popolazioni di cellule sembrano presentare una
relazione a livello di cellule mature progenitrici.
Le cellule che esprimono T-bet sembrano funzionare
da cellule progenitrici, cioè da cellule staminali,
che si dividono sia per replicarsi, che per
mantenere un gruppo di linfociti specifici sul
virus. Ma si dividono anche e si differenziano in
forma matura finendo per diventare cellule che
esprimono Eomes. Queste ultime sono più efficienti
nel combattere il virus in sé, ma non sono in grado
di replicarsi.
La ricerca ha dimostrato che, negli animali
infettati, queste due sotto-popolazioni di cellule
tendono a stabilirsi in due diverse aree del corpo:
le T-bet nel sangue e nella milza mentre le Eomes
nel fegato, nel midollo osseo e nell'intestino.
La perdita di una delle due popolazioni, che i
ricercatori hanno progettato in modo da cancellare
l'una o l'altra proteina, riduce la capacità del
sistema immunitario di combattere l'infezione
lasciando spazio all'espansione del patogeno.
Secondo John Wherry questi dati possono aiutare a
spiegare la graduale perdita di specifici linfociti
osservata in alcune infezioni croniche come
l'epatite C: la pressione continuata nel tempo sul
rapporto cellule staminali-cellule mature esaurisce
il gruppo di cellule progenitrici.
Oltre a ciò lo studio offre nuovi percorsi
terapeutici che possono essere usati per combattere,
o almeno per controllare meglio le infezioni
croniche.
Se riuscissimo a mantenere queste cellule
progenitrici più a lungo o a convincere la progenie
terminale a dividersi ulteriormente potremmo
spostare l'equilibrio e mantenere il controllo
dell'infezione.
Il laboratorio di John Wherry ora sta studiando i
percorsi molecolari possibili, per determinarne
l'efficacia nel controllare, e forse nel modulare,
le popolazioni di questi due linfociti T.
Altri autori sono: Michael A. Paley, Pamela M.
Odorizzi, Jonathan B. Johnnidis, Douglas V. Dolfi,
Burton E. Barnett.
Per
saperne di più sulle cellule staminali...
Per saperne di più
http://www.uphs.upenn.edu/news/
( MDN )
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