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Reale e virtuale

Essere e apparire

Essere e apparire sono i corrispondenti di reale e desiderato, ciò che siamo e ciò che vorremmo essere o ciò che vogliamo che gli altri pensino che noi siamo.

Quasi tutti seguono, nel loro vivere, un mix di essere ed apparire, ognuno con le sue percentuali e modalità dell’uno e dell’altro elemento. E’ molto difficile tornare indietro in quanto, abituati a proporci per ciò che ci sembra più opportuno, o necessario, non ci siamo più dedicati a capire la nostra realtà, cioè come siamo realmente e tanto meno ci siamo adoperati per migliorarci sul serio, tutti presi dal migliorare quella immagine che dovevamo "vendere" di noi.

Riprendere l’abitudine alla sostanza, ritrovare l’abito mentale di relazionarci con la realtà, con le persone reali e non con la loro immagine, è un percorso che può essere faticoso e non breve. A volte poi, l’impegno nei confronti dell’apparire è così grande che finiamo per credere anche noi di essere come vorremmo apparire, restiamo così noi stessi vittime della mistificazione. A questo punto riprendere il contatto con la realtà può diventare anche doloroso e ammettere che siamo tutt’altro da quello che avremmo desiderato può costare caro in termini psicologici, ma è un passaggio inevitabile se si vuole intraprendere la strada del risanamento.

Tutti i giorni, la realtà che impattiamo, in mille occasioni è apparenza, anche nelle cose più banali: la tazza di cioccolata calda non contiene, se non in parte minima, cacao ed è una bevanda che sembra cioccolata: ha il colore ed un vaghissimo sapore di cioccolata, ma è fatta con surrogati, cioè sostanze che fanno pensare che sia cioccolata, ma che in realtà nulla hanno a che fare. La frutta e la verdura sono belle, ma hanno poco sapore e poco profumo, ma noi le prendiamo per mangiarle, non per guardarle. La maggior parte dei piatti pronti vuole essere qualche cosa di cui non c’è più traccia se non vagamente nell’aspetto, non certamente negli ingredienti e nei rispettivi dosaggi. Il meccanismo è quello di prendere l’elemento caratterizzante, se non si può sostituire del tutto, metterne la minima dose necessaria per essere accettata dal mercato, e per il resto, via con i surrogati, i sostitutivi! Addirittura molte persone hanno imparato avendo come esempi questi imbrogli, per cui, poste poi davanti all’originale non lo riconoscono o, spesso, non lo apprezzano, magari perché troppo "forte". In questo caso sono in gioco due elementi: il primo è di tipo economico: produrre le cose come andrebbero fatte costerebbe troppo (comunque darebbe meno utile) sia per gli ingredienti che per il tempo; il secondo si poggia sulla convinzione che la maggior parte della gente non sa, e comunque è disposta a sacrificare la qualità per la comodità. Alla base di tutto rimane l’ignoranza, il non sapere, che porta a rinunciare alla qualità anche quando non ce n’è bisogno.

La qualità è importate, molto più importante di quello che spesso si crede e solo in alcuni casi è un lusso, nella maggior parte è disponibile a tutti perché è un modo di essere e, molto spesso non costa (in senso lato) di più. Facciamo un esempio: per fare due spaghetti buoni ci vuole lo stesso tempo e la stessa fatica che per farli cattivi, basta sapere come fare. Certo, per chi trova che comunque tutto sia sempre faticoso, e il non fare alcuna fatica sia la cosa più importante, tutto questo discorso non ha senso, e se non ne vorrà trovare beneficio (è una fatica !) non saremo certo noi ad imporglielo. La sua vita sarà il frutto del suo modo di essere, delle sue scelte e di quelle degli altri nei suoi confronti, ed in ogni caso il suo conto, lo pagherà sempre lui.

La qualità è un modo di vivere. Non intendo un atteggiamento maniacale che rende sempre la vita meno piacevole, ma penso a quell’atteggiamento che ci porta a scegliere, quando si può, la qualità migliore rispetto a quella peggiore, lasciandoci capaci di fruire al meglio possibile anche di ciò che è più scadente. Per scegliere però bisogna sapere, conoscere e ciò presuppone a sua volta l’essere curiosi. Curiosità, conoscenza, stare meglio.

La qualità è indispensabile, non possiamo farne a meno, tanto che anche quando ne neghiamo l’esigenza, questa ritorna per altre strade, magari camuffata, ma ancora più prepotente.

Reale e virtuale

"L’ha ciapà la vaca per le bale" che tradotto vuol dire : " ha preso la vacca (femmina) per i testicoli " (da un antico manuale di saggezza) .

Da una parte, il voler dare alla maggiore quantità possibile di persone l’opportunità di fruire della maggior quantità possibile di cose, con la conseguenza di dover dare in realtà a tutti solo cose che richiamano quanto promesso non potendo dare, per problemi di costi o di quantità disponibile, gli originali a così tanti.

Dall’altra i bisogni insoddisfatti da brutte copie e grezzi (quando non dannosi) surrogati continuano, ovviamente, a chiedere soddisfazione ottenendone solo altre brutte copie ed altri surrogati.

Risultato: nasce un irrefrenabile bisogno di amplificare in qualunque modo e con qualunque mezzo i deludenti risultati di quanto ottenuto, per potere, finalmente, raggiungere la tanto cercata soddisfazione.

In qualche modo c’è di nuovo in ballo il bottone di Aladino: ecco un servizio che, ad un prezzo più o meno accessibile, schiacciando un bottone (=pagando) ti risolve il problema in un attimo e senza fatica. La tentazione è fortissima. Peccato che solo raramente soddisfi il bisogno iniziale nella sua completezza, anche se così ci può sembrare. Perché mancando normalmente la qualità lascia un qualcosa di insoddisfatto che, anche se inconsapevole, per bene che vada si accumula, insoddisfazione su insoddisfazione, creando un stato di insoddisfazione e frustrazione generalizzato che si somma, e rafforza ed amplifica quella conscia.

Un altro esempio di questo atteggiamento, con gli stessi risultati, è quello di fermarsi ai titoli ai sommari, alle sintesi, in un continuo rimando di quell’approfondimento che non verrà probabilmente mai. Sì, i titoli, degli articoli di giornale, che diventano sostitutivi degli articoli stessi. La televisione poi applica già all’origine lo stesso procedimento togliendocene perfino la coscienza. Il meccanismo è questo: non c’è tempo quindi bisogna essere sintetici, siamo bersagliati da troppe informazioni di tutti i tipi e quindi dobbiamo selezionare leggendo solo le sintesi, che per loro natura ci danno solo una parte del messaggio, e poi, abituati a ciò, non c’è più voglia di approfondire, e poi è una fatica! Tutto resta in superficie, ovviamente non ci prende molto, ci dà poco, passa subito, in modo da poter consumare subito altro. E consumare anche con una certa frenesia, perché la cosa di prima ci ha dato poco, troppo poco, ci ha lasciato insoddisfatti, anzi, l’insoddisfazione globale è cresciuta e quindi abbiamo fretta di passare ad altro, nella speranza di sentirci finalmente soddisfatti.

Ed ecco che scatta la molla che porta agli "amplificatori" di sensazioni, stati d’animo, capacità, di tutto, in modo da avere "soddisfazione".

La realtà diventa fatta di sfiora e fuggi, ma con l’amplificatore di turno: eccitanti, stimolanti, alcolici, e ogni possibile palliativo che ci aumenti le emozioni, no-limits.

In realtà credo che prima sia meglio imparare ad avere sensazioni ed emozioni forti, fortissime, anche estreme vivendo la realtà apparentemente più normale, ma in modo completo, non solo sfiorandola e fuggendo.

La coscienza di ciò che si sta vivendo può produrre emozioni e sensazioni assolutamente estreme. Si tratta di abituarsi ad essere presenti alla realtà in atto, imparando a coglierne e gustarne gli aspetti positivi.

E’ l’atteggiamento con cui si affrontano le situazioni che dà loro il taglio. C’è chi istintivamente ha questo approccio e chi deve apprenderlo. Non importa, l’importante è arrivarci, e averne tutto il beneficio possibile.

Anche nella quotidianità la semplificazione, l’uso del simbolo, della finzione che richiama l’originale, che sta al posto dell’originale, è talmente diventato regola, abusata, che si è persa confidenza, conoscenza degli originali, capacità di vivere gli originali. Rappresentazioni grossolane e spesso caricaturate diventano sostituzioni degli originali rappresentati, ed anche qui una sacco di persone imparano, conoscono queste come uniche realtà. Per loro, sono queste le realtà! Ovviamente non bastano, non soddisfano, e sono di nuovo necessari gli amplificatori.

Lo stesso processo avviene per il mondo della realtà virtuale creata a computer: sta diventando per un crescente numero di persone "la realtà" nel senso che, una rappresentazione molto parziale e grezza, dovuta ai limiti tecnologici (hardware e software) e spesso anche alla capacità rappresentativa di chi li usa, viene spacciata per la realtà vera. Intendiamoci, anche la realtà virtuale è una realtà che può essere stupenda, ma un’altra realtà, basta non confondere il rappresentante con il rappresentato.

Ed invece è proprio ciò che avviene, con la conseguenza di creare una gran confusione nelle idee, nelle convinzioni e nella comunicazione e comprensione tra le persone.

Questa semplificazione del vissuto crea poi uno stato di disagio al momento dell’impatto con la realtà che diventa ancora più difficile da capire, gestire e vivere.

L’essere umano e la realtà che lo circonda sono molto complessi e la mancanza di familiarità con la complessità crea disagio, malessere ed ulteriore scollo dalla realtà stessa che viene così più facilmente negata decidendo che quella vera è quella nota, quella imparata, non questa che non si conosce e non si capisce. La sostituzione per lo più non è cosciente, per cui si sa che si preferisce scappare nel videogioco perché più bello e più noto (quindi meno spaventoso) della realtà. La sostituzione inconscia vuol dire che si crede realmente che la realtà sia quella finta, che l'altra non esista, con ciò che ne consegue: un calo della capacità di gestione della realtà che aumenta ulteriormente la paura.

Marco Dal Negro