Quello che segue è il testo di Roberto Gatti, scritto a memoria di Gianpiero e di un fantastico concerto di Sun
Ra.
Ricordo di aver conosciuto Gianpiero Gallina molti anni prima del debutto di Musica Novanta. Doveva essere la fine di maggio del ‘78, e il luogo era sicuramente Moers: il Festival open air più famoso d’Europa. Io ci ero andato con un bel po’ di amici (fra i quali l’indimenticabile Gianni Martini di Firenze, che ci ha lasciati molto, troppo presto): eravamo tutti fans sfegatati di quella che allora veniva chiamata Great Black Music, sulla scorta della definizione coniata dalla Aacm. Per pura combinazione io scrivevo anche, ero un “fan scrivano”, si potrebbe dire: come moltissimi altri, del resto. Ma in quegli anni beati non avevamo biglietti da visita, per fortuna, nè ci si domandava mai che cavolo si facesse nella vita: semmai chi ci piaceva di più. E chi rispondeve Anthony Braxton, e chi Evan Parker, e chi Cecil Taylor, e chi Misha Mengelberg. Perché, al contrario di oggi, il minimo comun denominatore era costituito dalla passione, non dal mestiere. Anni formidabili, appunto! Proprio così ho conosciuto Gianpiero, e con lui Renzo Pognant Gros. Che poi ho rivisto una sacco di volte negli anni successivi, senza mai immaginare che potessero covare in grembo il desiderio di diventare “organizzatori di concerti”, oppure anche, per usare un termine un po’ più pomposo, e tanto caro agli amici del Club Tenco, “operatori culturali”. Nè loro, discreti com’erano, me l’hanno mai apertamente confessato.
Anche Herman Poole Blount, il leggendario Sun Ra, l’avevo incrociato ben prima dell’avvento di Musica Novanta. A Pescara Jazz nel luglio del ‘76, lo ricordo benissimo: nella prima “lunga estate jazzistica” della mia vita. E ricordo anche bene la formidabile scossa di adrenalina che il Sole mi diede, quando, finito un concerto di inaudita bellezza, si mise alla testa della sua meravigliosa Arkestra, seguito solo un passo indietro dalla deliziosa June Tyson, per marciare e danzare lungo l’intera pista di atletica dello stadio comunale al ritmo di “Space Is the Place”... Ovviamente ci fu chi, fra i “critici” presenti (di cui non dirò il nome per carità di patria), scrisse il giorno dopo sul proprio quotidiano parole di fuoco su quella “pagliacciata in costume tribale” (testuale)! Esattamente come una decina d’anni prima, al Jazz Festival di Lecco, gli stessi “critici” avevano bollato a fuoco la performance di Archie Shepp e del suo sensazionale combo, rei di fare a pezzi l’estetica del “vero jazz” di Charlie Parker e Dizzy Gillespie! Pazienza...
Capii solo alcuni anni dopo, con un minimo di esperienza in più, che Sun Ra possedeva la straordinaria capacità di separare il grano dal loglio: proprio come John Coltrane, Albert Ayler, Archie Shepp e tanti altri grandi innovatori. Lo capii in un altro memorabile concerto “live” del Re Sole: al Parco delle Basiliche di Milano, nella notte di un indimenticabile solstizio d’estate di un anno ormai lontano. Quando, con geniale intuizione, i due organizzatori del concerto (Riccardo Bertoncelli e Giacomo Pellicciotti) chiamarono a interloquire con l’Arkestra al gran completo il leggendario maresciallo Bob Caselli, forse il più grande e visionario artificiere italiano dell’epoca. Che, non pago delle meraviglie realizzate dai suoi fuochi in perfetta sintonia con la musica, durante un pianissimo Arkestrale ebbe anche l’ardire di salire sul palco, afferrare il microfono dalle mani di Sun Ra e di urlare al pubblico presente: “Il nostro palcoscenico è il cielo!”. Applausi scroscianti e ola ad libitum. Mentre l’imperturbabile Re Sole sorrideva sornione di fronte a tanto coraggio!
(Del resto, che Sun Ra fosse uomo di grande tolleranza e bonarietà, l’avevo già capito qualche tempo prima, al Teatro Ciak di Milano. Lui era lì in quartetto, con i meravigliosi e fedelissimi John Gilmore e Marshall Allen, e la prima fila del teatro era interamente occupata da alcuni musicisti di casa nostra: di cui anche in questo caso non farò i nomi, sempre per carità di patria. Fatto sta che durante un assolo incandescente di John Gilmore, un paio di questi musicisti, probabilmente folgorati sulla via di Saturno da quella musica celestiale, cominciarono a cavare dai loro strumenti un lunga sequela di suoni a casaccio, perché per molti, a quei tempi, la parola d’ordine era una soltanto: “aho’, famo er free!”. Sun Ra, paziente come Giobbe, attese un paio di minuti buoni prima di interrompere i suoi prodi. Poi prese il microfono e, rivolto ai disturbatori, disse testualmente: “Dovreste vergognarvi! Non avete neppure capito che la musica è ORDINE e DISCIPLINA! E ora vi prego di uscire!”. Impagabile!!!).
Dato per scontato che la più meditata e profonda esegesi dell’universo di Re Sole è, ancor oggi, quella contenuta nel saggio “Nuovo Teatro Americano 1968-1973” di Stefan Brecht, figlio di tanto Bertolt, vorrei chiudere questo rapido ricordo del Sun (e di Gianpiero) citando qualche passo della recensione di “Atlantis”, scritta da Dolly Quinn il 14 luglio 2007. “Nulla è in perenne movimento come quest’album, e ho paura che la Terra non avrà più la grazia di ricevere qualcosa di simile chissà per quanti altri anni ancora... Sun Ra era un eccentrico svitato che proveniva da Saturno, suonava un clavinet... e praticava il free jazz più sperimentale mai ascoltato in precedenza... Utilizzava strumenti alquanto desueti (per esempio le tastiere elettroniche, sperimentate appena un anno dopo la loro comparsa) per creare un’unica trama alla musica, che, nelle sue intenzioni, doveva essere un qualcosa di alieno e spirituale al tempo stesso. La Musica Cosmica deriva proprio da qui”.
E’ la musica che mi piace definire Saturn Sound System, ricca di percussioni assolutamente indescrivibili, di prodigiosi richiami all’alba gloriosa del jazz (per esempio il “King Porter Stomp” di Jelly Roll Morton), capaci di copulare armoniosamente con le urla e i canti degli abitanti di Atlantide, al fine di creare un tappeto di mistero che soltanto gli umani ricchi di spirito visionario erano in grado di apprezzare. Gianpiero Gallina era certo uno di questi. E il fatto che abbia voluto inaugurare la prima edizione di “Musica Novanta”, il 14 marzo del 1990, con un concerto dell’Arkestra di Sun Ra, la dice lunga sulla sua perspicacia. Adesso, forse, potrete trovarlo mentre passeggia sulla gelida crosta di Saturno insieme al suo amico Herman Poole Blount (che ha abbandonato il pianeta Terra il 30 maggio 1993, appena tre mesi prima di Bob Caselli). Grazie ancora di cuore, caro Gianpiero! Ti sia lieve Saturno!
Roberto Gatti
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