anni una consolidata e intensa attività concertistica sia come solista sia con un ensemble.
Le sue musiche sono state eseguite in prestigiose istituzioni internazionali, quali il Teatro alla Scala di Milano, il Maggio Musicale Fiorentino, il Festival di Tanglewood, il Lincoln Center di New York, la Queen Elisabeth Hall di Londra, il Center for Performing Arts di Los Angeles. Tutto qui, e neppure un brevissimo accenno a suo padre Giulio, e men che meno al fatto, più unico che raro, che il figlio di cotanto editore abbia "rinnegato" i libri, e la parola scritta, per dedicarsi anima e corpo alla musica e al pianforte. E vengono i brividi al solo pensiero di quanto avrebbero sproloquiato tanti suoi colleghi infinitamente meno dotati, se solo avessero avuto la ventura di trovarsi al suo posto. Ma, come diceva quel tale, la classe non è acqua.
Ludovico Einaudi non è neppure uomo che ami parlare più di tanto della sua musica. E infatti la sera di lunedì 25 febbraio, dovendo presentare al foltissimo pubblico del Teatro Giorgio Strehler la sua ultima composizione "I giorni", una suite in undici movimenti appena pubblicata dalla Bmg-Ricordi nella collana "Confini&Oltre", racconta più o meno così: "Una sera, un po' di tempo fa, a Bamako, nel Mali, stavo facendo un giro in macchina per la città con il musicista Toumani Diabate. Faceva caldo. Tenevamo la radio accesa e a un certo punto hanno trasmesso una canzone, una canzone un po' dolce e malinconica. Mentre guidava, Toumani mi raccontava che quella era una delle più antiche e amate canzoni del repertorio Mandè, risalente al XII secolo, dal titolo "Mali Sajio". La canzone racconta la storia di un ippopotamo che viveva all'incrocio fra due fiumi, molto amato dagli abitanti di un villaggio vicino che lo accudivano - non so bene in che maniera lo potessero "accudire", ma così mi hanno raccontato. Comunque, un brutto giorno, l'ippopotamo fu ucciso da un cacciatore, e da allora la canzone ha assunto altri significati. Viene cantata come lamento per la morte di un re o di una grande persona, o per il rimpianto di una persona amata. E proprio sulla base di questa suggestione, di questo profumo, l'ho ripresa e inserita nel disco, in quattro versioni differenti".
Last but not least (e forse lo si sarà già intuito), Ludovico Einaudi è uomo dalla poetica dolcissima e un po' introversa, sottile fin quasi ai limiti dell'impalpabilità: uno che lascia volentieri agli altri - al suo pubblico e ai suoi fans, che ovviamente gli somigliano come tante gocce d'acqua - la più ampia intrepretazione di ciò che racconta. Per esempio, parlando di uno dei movimenti più fascinosi fra gli undici dei "Giorni", dice più o meno così: "Non ho mai capito perché questo brano si chiami "Samba", visto che non ha nulla a che fare con l'omonimo ritmo brasiliano. Ma mi è venuto così, e tanto mi basta!". E poi, presentando con tutta l'enfasi di cui è capace il suo meraviglioso partner della serata, uno scintillante pianoforte Steinway gran coda della collezione Fabbrini, come sempre accordato da Sandro Chiara Vailati, dice ancora: "Per tradizione antichissima, questo splendido pianoforte è sempre stato chiamato Il Tigre, e non chiedetemi come mai. L'unica cosa che so è che un giorno, durante uno spostamento da una città all'altra, Il Tigre è caduto, e si è fatto molto male, e sembrava che non si dovesse riprendere mai più. E invece, per fortuna, alla fine ce l'ha fatta e adesso è ancora qui con me, con mia enorme soddisfazione". E mentre pronuncia queste parole gli rivolge un sorriso tenerissimo, e pare proprio che Il Tigre sia una persona vivente, in carne e ossa: una madre, una sorella, una moglie, un'amante. E viene spontaneo pensare a quanta acqua sia passata sotto i ponti dai tempi in cui Jimi Hendrix e Pete Townshend - entrambi amatissimi da Einaudi - sfasciavano le loro chitarre davanti al pubblico assatanato di Woodstock e dell'isola di Wight. Non c'è più un rapporto di odio/amore fra il musicista e il suo strumento, per fortuna, ma soltanto un amore impalpabile, diafano, sublime. Ed è molto meglio così, ovviamente.
Infatti, Ludovico e Il Tigre riempiono le due ore del loro concerto milanese con una cascata di note sognanti e rilassatissime, che prendono le mosse da un'Africa più suggestiva che reale per avventurarsi verso mondi lontanissimi, assai poco terreni, ricchi di ispirazioni minimali e di dolci colori pastello. Mondi dove le strutture temporali sono presenti nel titolo - "I giorni", appunto - e nelle scansioni ritmiche, ma sono totalmente dimenticate, quasi assenti, nell'ispirazione profonda. Hanno l'incedere avvolgente del respiro, le ellissi evocate da Einaudi, e il suo tocco sui tasti del Tigre è quanto di più delicato e al tempo stesso scintillante si possa immaginare. E sarà forse per questo, anche per questo, che il compositore milanese sta finalmente cominciando a vivere la stagione della vendemmia, dopo averne dedicate tante alla semina. Tant'è vero che il suo concerto milanese verrà replicato, su espressa richiesta degli organizzatori, il 25 marzo prossimo, mentre già si sono prenotate Genova (il 22), Bari (il 19 aprile), Varese (il 10 maggio), e poi, via via, anche Londra, Bristol e Manchester. Alla buon'ora! - verrebbe proprio da esclamare. |