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Inquinamento indoor

 

Mai come in questi giorni le micropolveri insidiano i polmoni di chi si avventura a piedi o in bicicletta per le strade delle città italiane. Ma forse non tutti sanno che quando si accende una sigaretta in casa o in un ufficio le concentrazioni di queste stesse polveri superano di gran lunga i limiti di legge stabiliti per l'inquinamento atmosferico.
Lo ha dimostrato Giovanni Invernizzi, membro della Task force contro il fumo, della Società italiana di medicina generale, che insieme ad alcuni collaboratori dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano e a un esperto di misurazioni di particelle, ha rilevato le polveri fini prodotte dal fumo di sigaretta in un ufficio e in un ristorante dotato di sale separate per fumatori e non fumatori.
Nel primo caso la rilevazione è stata effettuata all'interno dell'Istituto tumori di Milano, in un ufficio di piccole dimensioni dotato di un buon impianto di aerazione. I risultati di questa misurazione sul campo, pubblicati nel primo fascicolo di Epidemiologia & prevenzione del 2002, mostrano che a locale vuoto il PM10, cioè la frazione più sottile - e quindi più facilmente respirabile - delle polveri che ristagnano nell'aria, si aggirava attorno ai 100 microgrammi per metro cubo. Ma dopo l'accensione di una singola sigaretta raggiungeva all'istante i 2.000 µg/m3 con un picco che superava i 5.000. Cifre astronomiche, se confrontate con i limiti ammessi per l'aria di città. Per rendersene conto basta ricordare che "l'obiettivo di qualità" stabilito per le polveri fini (come riportato nel decreto ministeriale del 25.11.1994) prevede una media annuale di 40 µg/m3 e che le misure antitraffico scattano dopo una settimana di superamento dei livelli di attenzione e di allarme, stabiliti rispettivamente a 50 e 75 µg/m3 (concentrazione media nelle 24 ore).
Questi limiti sono stati ampiamente superati anche nel ristorante che ha aperto le sue porte alla Task force. Il locale si trova nella zona centrale della città di Milano, ha una capacità complessiva di circa 80 persone ed è suddiviso in due sale, una per fumatori e una per non fumatori, dotate di impianti di aerazione indipendenti. Le misure sono iniziate con i locali vuoti, che si sono progressivamente riempiti fino alla loro capienza massima dopo un'ora dall'apertura. Il numero minimo di sigarette accese contemporaneamente nella sala fumatori variava da una a un massimo di 5-6. 
All'inizio la concentrazione delle polveri nel settore non fumatori rispecchiava la situazione esterna di una zona molto trafficata della città, con valori di PM10 tra 50 e 100 µg/m3. Dopo circa 30 minuti si assisteva ad ampie fluttuazioni mentre il locale si riempiva e si registravano valori medi di PM10 attorno ai 120 microgrammi, con un picco a 150. Nella sala dedicata ai fumatori, invece, le polveri fini erano in media attorno ai 230 microgrammi con punte di oltre 300. Se poi si considerano anche le polveri ultrasottili (quelle formate da particelle con un diametro inferiore ai 2,5 micron) le concentrazioni risultavano ancora più alte.
"La separazione fisica del locale per non fumatori e il fatto che sia dotato di un impianto di aerazione indipendente sembra abbastanza efficace nel preservare l'ambiente dedicato a chi non fuma, ma questo è forse l'unico dato positivo messo in luce dal nostro studio" dice Invernizzi. "Per il resto, abbiamo dovuto constatare che la presenza di impianti di aerazione e filtrazione - anche di ottima qualità e potenza - non sono in grado di depurare le polveri fini e ultrafini, ossia quelle di dimensioni inferiori a 2,5 e 1 micron rispettivamente (PM2,5 e PM1) generate dal fumo di sigaretta. E in ogni caso le concentrazioni di PM10 superano sempre di alcuni ordini di grandezza i limiti stabiliti dalle normative per il controllo dell'inquinamento esterno". 
Tenuto conto che in Italia il numero di ristoranti, bar e uffici dotati di aree separate per non fumatori con aerazione indipendente è molto modesto, si deve dedurre che un gran numero di cittadini viene esposto ogni giorno ad alte concentrazioni di particolato fine per periodi di tempo anche prolungati. Ciò vale per gli avventori dei locali pubblici (che, almeno in alcuni casi, possono scegliere se stare o meno nelle sale fumatori), ma vale soprattutto per i dipendenti dei locali, a cui questa scelta non è data. E vale ancora di più per chi lavora in uffici o, comunque, in ambienti chiusi dove non vige il divieto di fumo e non sono istallati sistemi di ventilazione efficaci.
Si potrebbe obiettare agli autori dello studio che i limiti di legge per il PM10 esterno si riferiscono alla concentrazione media nelle 24 ore, mentre i loro dati riguardano esposizioni acute. A questo proposito i ricercatori spiegano che la rilevazione delle polveri in ambienti chiusi è una relativa novità, resa possibile dalla recente messa a punto di misuratori portatili, come quello utilizzato per questa rilevazione sul campo. Si prevede e si auspica, quindi, che in futuro vengano condotti studi prolungati. "Nel frattempo" sottolinea Invernizzi "bisogna ricordare che un'esposizione ad alte concentrazioni di particolato ambientale anche per periodi inferiori alle 12 ore è in grado di provocare disturbi respiratori, e che è sufficiente un'esposizione di 30 minuti al fumo di sigaretta per produrre alterazioni del flusso coronarico in un non fumatore". 
Fonte: Zadig, Agenzia di Giornalismo Scientifico

Su questo argomento vedi anche:
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