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Verde in città di Arch. Antonella Bellomo

 

Cenni storici e attuali prospettive.

L’uso della vegetazione negli spazi urbani ha sempre avuto molteplici funzioni: simboliche, estetiche-ornamentali, produttive e di regolazione del microclima.
La funzione termoregolatrice della vegetazione, nel periodo estivo è conosciuta fin dai tempi più remoti, in tutta l’area mediterranea. L’impiego delle piante nelle abitazioni greche, romane, ispano-moresche, ecc., associato in modo opportuno ad alcune strutture architettoniche (pergole, portici, vasche, patii, viridarii), sottolinea la costante ricerca di raffrescamento estivo.

L’aspetto propriamente utilitaristico del verde compare soprattutto nel mondo romano dei primi secoli. Durante i secoli dell’impero, il verde assume maggior rilievo all’interno delle mura cittadine, ma solo come parte inscindibile di quegli elementi costruttivi che ornano i grandi giardini annessi alle ville signorili, luoghi deputati agli otia intellettuali dei proprietari, e che ricreavano l’illusione del verde del territorio agricolo.
Nel Medioevo, il verde all’interno delle mura cittadine e nei monasteri assume una funzione quasi esclusivamente produttivo-alimentare, come unica fonte di sussistenza in caso di assedio.

Dal Quattrocento in poi, viene riconsiderata la funzione microclimatica del verde come umidificatore del microclima (protezione dai venti invernali e dal caldo estivo), in particolare nel contesto delle ville suburbane.
Nei giardini delle ville del Cinquecento e del Seicento trova ampia diffusione l’uso della vegetazione come protezione dal vento, il pergolato ricoperto da vite per le passeggiate nei giorni assolati. Per il resto, il progetto dei giardini era dominato da aspetti scenografici.

Se prima le antiche città erano integrate alla campagna circostante, con i primi processi di massiccio inurbamento tale rapporto viene modificato determinando un conflitto città/campagna. All’interno di un progressivo processo di espansione urbana, il verde viene ad assumere nuovi ruoli, non più soltanto simbolici o decorativi.
Nel Settecento, in Francia si ha una prima inversione di tendenza: il verde assume importanza proprio all’interno degli agglomerati urbani. Nasce così il concetto di "giardino pubblico"; e le aree da occupare sono quelle di risulta dall’abbattimento delle mura cittadine e delle cortine murarie. Oltre alla funzione propriamente ornamentale della vegetazione, ricercata pure con l’introduzione, spesso inopportuna, di specie esotiche, viene riconosciuta anche quella igienica, legata alla salubrità dell’aria.

Il fenomeno dei grandi inurbamenti delle città ottocentesche contribuisce ulteriormente a porre il problema del verde urbano, in termini di soluzione al degrado ambientale, nonché di vivibilità.
I piani regolatori tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 prevedono, infatti, ampi spazi da destinare verde pubblico; in seguito, in Italia, esso rimarrà per lo più superfluo e limitato all’ornato cittadino.
Nella attività urbanistica italiana, le funzioni assegnate al verde rimangono solamente quelle prescritte come standards urbanistici, con l’obbligo di un astratto rapporto tra la quantità di aree da destinare a servizi (non esclusivamente a verde pubblico) e quelle da destinare a edificazioni per insediamenti, all’interno delle zone funzionali di piano.

La crisi energetica degli anni ’70 sollecita, dapprima in USA e poi in Europa (Germania, Olanda, Gran Bretagna, ecc.), lo sviluppo di una serie di ricerche sulla conservazione e il risparmio energetico. Tali studi hanno condotto al riconoscimento dell’importante funzione microclimatica della vegetazione stimolandone un impiego "ambientale", per il comfort degli ambienti antropizzati (interni ed esterni).

Nell’ambito di una coscienza emergente e di fronte agli attuali squilibri ambientali della città contemporanea, sta prendendo corpo l’idea di una "green city", ovvero di una rinaturalizzazione della città attraverso vere e proprie iniziative di integrazione strutturale del verde con l’ambiente costruito (creazione di orti urbani ed aree boschive, di habitat per la fauna selvatica, di stagni e zone umide e di corridoi vegetali naturali ed artificiali, là dove lo spazio orizzontale non consente l’inserimento di ulteriori ed opportuni spazi verdi).

Ormai si è ben lontani dal considerare il verde come semplice fatto meramente decorativo, tanto più che esso può contribuire notevolmente a garantire una elevata qualità abitativa all’interno di una visione ecologica della città.
Si fanno strada, allora, interventi a grande scala, con la riprogettazione delle aree dismesse, fino a comprendere quelli di risistemazione e di piantumazione di spazi urbani minori (aree residuali e cortili).

Funzioni del verde urbano

Le funzioni del verde urbano per il controllo ambientale, fino ad oggi riconosciute e dimostrate su basi scientifiche (1), sono quelle di:

  •  variazioni microclimatiche (temperatura, umidità, ventosità);

  •  depurazione dell’aria; produzione;

  •  attenuazione dei rumori;

  •  azione antisettica;

  •  difesa del suolo;

  •  depurazione idrica;

  •  conservazione della biodiversità.

Le isole di calore urbane e le variazioni microclimatiche apportate dalla vegetazione

Il disagio climatico degli ambienti urbani deriva dal surriscaldamento dell’aria, dovuto sia al calore che alle polveri e agli inquinanti prodotti dalle attività cittadine e sia alla conformazione del tessuto della città.
Nel centro delle città, la grande concentrazione delle aree edificate e le pavimentazioni stradali, unite alla elevata conducibilità termica di alcuni materiali, quale il cemento armato, determinano un assorbimento del 10% in più di energia solare, rispetto ad una corrispondente area coperta da vegetazione (2).

Gli spazi "cementificati", inoltre, si riscaldano molto velocemente e si raffreddano molto lentamente, al contrario di quanto accade nelle campagne circostanti. La differenza di temperatura tra città e campagna è difatti massima qualche ora dopo il tramonto ed è minima nelle prime ore del pomeriggio.
L’accumulo di energia termica e la difficoltà di disperderla poi nello spazio sono dovuti anche alla forma stessa degli spazi urbani, spesso caratterizzati da un’edificazione di tipo intensivo.

Andamento della temperatura a Londra:
i valori della temperatura aumentano proporzionalmente alla densità dei volumi costruiti.


Le sezioni delle strade strette determinano effetti multipli di riflessione/radiazioni tra pareti vicine degli edifici stessi, con conseguente riscaldamento delle masse d’aria con le quali sono a contatto.
Durante le ore notturne, la situazione non migliora: l’irraggiamento infrarosso del calore accumulato durante il giorno viene intercettato dagli edifici che si fronteggiano, anziché disperdersi nello spazio. I sistemi di condizionamento dell’aria degli ambienti confinati e il traffico autoveicolare non fanno poi che aggravare la situazione, generando altro calore artificiale.

E’ stato rilevato che nella stagione estiva, alle medie latitudini, l’aggiunta di calore artificiale equivale al 5-10% dell’energia solare incidente e che ciò provoca un innalzamento di quasi un grado della temperatura media di una metropoli e di più gradi in una singola situazione microclimatica (3).
A parità di umidità e di temperatura, il comfort termico estivo nelle zone intensamente edificate è peggiore rispetto alle zone periferiche o rurali, a causa della diminuzione dell’intensità del vento ( 20-30%). La differenza di temperatura tra Milano-centro e Milano-periferia raggiunge, ad esempio, i 2/3° C (4).
Diversi studi mettono in evidenza come la presenza della vegetazione nelle città possa migliorare nettamente le condizioni microclimatiche, grazie ad una sensibile diminuzione delle temperature.

Le variazioni di temperatura e dell’umidità relativa dell’aria, indotte dalla presenza della vegetazione, sono dovute principalmente a:

a) riduzione della radiazione solare incidente su edifici ombreggiati da vegetazione.

L’energia solare che arriva su una massa vegetale viene da questa in parte riflessa, assorbita e trasmessa, in parte dissipata nell’atmosfera, come calore latente e calore sensibile, e in parte utilizzata nei processi metabolici.
Le piante, attraverso il processo fotosintetico, trasformano l’energia solare in energia biochimica; in particolare, esse assorbono radiazione visibile (la più calda) e perciò la loro presenza diventa rilevante per la determinazione del microclima di una specifica zona .

E’ stato calcolato che le piante assorbono una percentuale pari al 60 - 90% della radiazione solare, in relazione ad una serie di variabili che determinano l’ombreggiamento/assorbimento della radiazione solare, quali la densità della chioma (fitta o rada), la rapidità di accrescimento e la durata della stessa (fogliame sempreverde o deciduo nel periodo di fogliazione), la dimensione e la forma della pianta (altezza massima raggiunta con il suo sviluppo e portamento). Di qui l’importanza della conoscenza delle caratteristiche fenologiche di ogni singola specie, per una opportuna selezione delle stesse in fase di progetto di un’area verde.

Esistono strumentazioni (radiometri) e metodi di analisi computerizzati di immagini fotografiche che consentono di stimare la riduzione dell’intensità solare, in funzione della densità della chioma (5).
La scelta all’interno delle specie decidue (diverse per densità di chioma), è importante quanto la scelta tra specie sempreverdi e decidue.
Per garantire raffrescamento in estate e riscaldamento in inverno, si deve infatti optare per delle specie con chioma di elevata densità nei mesi caldi e con basso livello di ombreggiamento nella stagione fredda. Sono stati determinati, per alcune specie arboree, i coefficienti di ombreggiamento in epoca invernale e in estate (6); la loro conoscenza dovrebbe essere presa in attenta considerazione, per una più opportuna selezione delle essenze da collocare in prossimità di edifici.

La selezione di piante con chioma più o meno densa può contribuire a modificare i flussi energetici negli edifici adiacenti e quindi le temperature interne degli stessi.
La densità del fogliame e quindi la capacità dello stesso di filtrare le radiazioni solari possono comunque dipendere sia dalle condizioni ambientali (di qui l’importanza dell’amplitudine ecologica delle specie da inserire in uno specifico ambiente, ossia se sono adattabili o no alle condizioni climatiche del luogo e di resistere ad eventuali situazioni di stress idrico) e sia dalle pratiche colturali (importanza della potatura come sistema per controllare l’aumento della densità della nuova emissione di getti).

L’ombreggiamento della vegetazione può contribuire in modo rilevante al raffrescamento passivo degli edifici; esso può determinare una riduzione delle temperature interne e anche uno sfasamento della temperatura massima (la temperatura dell’aria circostante, da cui dipende il comportamento termico dell’edificio ombreggiato, raggiunge il suo valore massimo 2-3 ore dopo il picco della radiazione solare). Con l’impiego della vegetazione in prossimità degli edifici, si può altresì contribuire a moderare l’uso dei condizionatori d’aria, che in Italia ha subito ultimamente un incremento del 20%, con conseguente consumo di energia elettrica in estate ed emissione in atmosfera di grandi quantità di CO2 (7).

b) Modifiche degli scambi radiativi ad onde lunghe tra le superfici e l’ambiente esterno

Un manto verde emette meno radiazioni all’infrarosso rispetto al terreno o materiali artificiali e, quindi, riduce la temperatura media radiante dell’ambiente. Gli edifici che fronteggiano superfici vegetali (con temperature radianti inferiori rispetto a quelle delle superfici soleggiate ) risentono, perciò, meno delle elevate temperature radianti di strade ed edifici prospicienti.

c) Processi di evapotraspirazione

L’evapotraspirazione delle piante è un fenomeno legato alla fotosintesi: le piante, per poter assumere l’anidride carbonica dell’atmosfera, devono mantenere gli stomi aperti e in tal modo perdono acqua. Si tratta di grandi quantità di acqua pompate dal terreno e immesse nell’atmosfera, sotto forma di vapore.
Il passaggio dell’acqua, dallo stato liquido a quello di vapore, avviene nelle foglie e comporta un assorbimento di energia termica: per ogni grammo di acqua evaporata occorrono 633 cal.

Considerando che la quantità di calore latente dissipato per traspirazione dalle superfici vegetali, non soggette a stress idrico, è molto elevata, risulta che la presenza di aree verdi in ambiente urbano può contribuire notevolmente a correggere situazioni di surriscaldamento estivo, riducendo localmente le temperature.

L’energia solare incidente su ampie zone verdi viene in gran parte utilizzata dalla vegetazione 
per processi traspiratori e fotosintetici, provocando un sensibile abbassamento 
della temperatura dell’aria.

 

In aree urbane densamente edificate, l’energia solare viene riflessa ed assorbita dalle pareti verticali degli edifici, aumentandone così il carico termico.

Una piazza alberata di 100 x 100 m. può arrivare a traspirare fino a 50.000 litri al giorno. Per il passaggio di stato dell’acqua vengono quindi approssimativamente sottratte all’ambiente esterno circa 31.650.000 cal. [energia termica che altrimenti verrebbe assorbita dalle strutture edificate e riflessa sotto forma di calore] (8).

E’ stato verificato che il raffreddamento dovuto alla traspirazione di una pianta di grosse dimensioni equivale alla capacità di cinque condizionatori d’aria di piccola taglia operanti per 20 ore al giorno (9).Gli effetti microclimatici dovuti alla evapotraspirazione sono riscontrabili soprattutto in aree poco ventilate, ma esposte all’incidenza di una forte radiazione solare (11).

Bisogna comunque considerare che l’abbassamento delle temperature, per effetto dei processi traspiratori delle piante, è minimizzato in presenza di singoli alberi, mentre diventa decisamente sensibile in caso di ampie zone verdi.Misure sperimentali, condotte in Germania, hanno infatti evidenziato differenze di temperatura, tra zone interne a parchi e aree urbane circostanti, fino a 7° C (12).

L’effetto di riduzione della temperatura, per la presenza di un’area verde, è riscontrabile solo su scala locale e ad una relativa distanza, per via degli scambi convettivi dell’aria che ne riducono l’influenza a scala più ampia. Allo stesso tempo, è stato rilevato come l’incremento di aree verdi in città, attraverso il processo di evapotraspirazione, contribuisca notevolmente a migliorarne le temperature globali estive e a ridurre quindi i consumi elettrici per il condizionamento dell’aria.

Da tali premesse deriva che l’uso del verde urbano va pertanto individuato soprattutto come sistema passivo da integrare opportunamente agli edifici nella città (sia a livello di insediamento di più edifici e sia a livello di singole unità edilizie), per migliorare il microclima estivo e la qualità dell’aria.La strategia d’intervento possibile, con l’utilizzo della vegetazione integrata al costruito, consiste perciò nell’assicurare una riduzione del flusso termico entrante attraverso l’ombreggiamento, la riflessione della radiazione solare, la riduzione degli scambi convettivi e l’assorbimento di energia solare impiegata per i processi traspiratori e fotosintetici.

Fig. 8 - Effetto schermante della vegetazione -
1 Ombreggiamento - 2 Riflessione - 3 Convezione 4 Evapotraspirazione e processi fotosintetici.

 

Vegetazione ed inquinamento atmosferico

La vegetazione nelle città può svolgere un altro ruolo di controllo ambientale: quello di arginare attivamente il problema dell’inquinamento dell’aria, fungendo da elemento filtrante per polveri e gas e costituendo passivamente un prezioso rilevatore della loro presenza. Diversi studi condotti sugli effetti fitotossici degli inquinanti atmosferici hanno messo in evidenza come le varie specie vegetali reagiscano in maniera differente nei confronti di un certo inquinante. Esse possono presentare una risposta che varia da molto suscettibile (riportando danni anche a seguito di brevi esposizioni e a basse concentrazioni) a notevolmente resistente.

Le piante sensibili possono essere utilizzate come spie, ossia come strumento di monitoraggio, per calcolare i livelli di inquinamento dell’atmosfera; esse, infatti, reagiscono, oltre che con l’indebolimento, anche con diversi sintomi che richiedono comunque una complessa interpretazione: variazioni di sviluppo (riduzione asimmetrica), clorosi (colorazione ai margini o agli apici delle foglie, per disturbi a carico della clorofilla), necrosi (morte delle cellule del mesofillo). Stress idrici e termici e carenze nutrizionali possono dare luogo a sintomi simili a quelli provocati dall’inquinamento. Ci sono comunque piante con sensibilità accertata verso uno o più specifici inquinanti che possono essere quindi utilizzate come vere e proprie sentinelle ecologiche (licheni). L’impiego delle piante spia andrebbe affiancato a quello delle centraline di rilevamento elettronico.

Le specie resistenti possono, invece, costituire degli elementi attivi nella riduzione degli inquinanti atmosferici in ambiente urbano, in quanto possono essere in grado di eliminarli tramite assorbimento e successiva metabolizzazione. Tale rimozione avviene al livello della superficie delle foglie e nei tessuti vegetali, attraverso disattivazione dei gas per assorbimento dei composti tossici, inattivazione dei composti stessi nei tessuti cellulari, per precipitazione ed immagazzinamento, ed infine per utilizzazione dei composti medesimi, attraverso la metabolizzazione ossidativa delle piante.

Alcuni studi mettono a disposizione significativi dati quantitativi circa la riduzione effettiva di taluni inquinanti gassosi.

Negli USA, è stato riscontrato che la vegetazione è capace di rimuovere dall’aria ad essa circostante alcuni inquinanti, nella misura a fianco di ciascuno indicata nella seguente tabella:Riduzione di inquinanti nell’atmosfera, intorno alla vegetazione (13).

MONOSSIDO DI CARBONIO (CO) 

2500

m g/mq ora

CLORO (Cl) 

2000

m g/mq ora

FLUORO (Fl)

100

m g/mq ora

OSSIDI DI AZOTO(NO)

2000

m g/mq ora

OZONO (O3)

80000

m g/mq ora

PAN

2000

m g/mq ora

ANIDRIDE SOLFOROSA (SO2)

500

m g/mq ora

AMMONIACA (H2 NO4)

400

m g/mq ora

Anche il piombo contenuto nell’aria può essere ridotto dalla presenza delle piante. Non bisogna trascurare che le condizioni ambientali possono influire sull’assorbimento delle sostanze inquinanti da parte delle piante, aumentandone il ritmo di rimozione (14), o in alcuni casi esaltarne l’azione dannosa. Condizioni di ristagno dell’aria (nebbia) o di siccità possono acutizzare fenomeni di intolleranza per le specie sensibili. 

In particolare, in città come Milano, la scarsa ventilazione e l’elevata umidità dell’aria aggravano i danni provocati dall’inquinamento e in particolar modo dagli ossidi di zolfo. In queste situazioni si è comunque riscontrata una maggiore funzionalità delle conifere, rispetto alle piante a foglia caduca, nonostante queste ultime siano in grado di rimuovere le sostanze inquinanti accumulate, tramite la caduta delle foglie in autunno. Le sempreverdi sono difatti efficaci anche in inverno (quando l’inquinamento è massimo) ed inoltre evitano che le sostanze accumulate dalle foglie vadano a depositarsi nel suolo.Le specie più resistenti possono altresì contribuire, in modo attivo, all’intercettazione e successiva filtrazione delle polveri presenti nell’atmosfera. 

L’azione "filtro" è proporzionale al diametro delle particelle e risulta più efficace in foglie poco mobili e con epidermide rugosa. E’ stato, inoltre, dimostrato che l’efficacia della rimozione delle polveri risulti maggiore nelle conifere, piuttosto che nelle piante decidue. E’ stata, infatti, registrata una diminuzione delle polveri nell’atmosfera pari al 38 - 42%, ad opera delle piante sempreverdi, e dal 27 al 30%, da parte delle specie decidue. Si ritiene, infine, che, complessivamente, l’azione "filtro" possa raggiungere valori variabili da 200 a 1000 Kg/ha (15).

>> Il presente lavoro è tratto dalla Tesi di Laurea "Il verde urbano come strumento di controllo ambientale degli spazi antropizzati" di Antonella Bellomo, relatore: Prof. Gianni Scudo, 1997 Politecnico di Milano.

Bibliografia

(1)

Cfr. ALESSANDRO S., BARBERA G., SILVESTRINI G.; Stato dell’arte delle ricerche concernenti l’interazione energetica tra vegetazione ed ambiente costruito. In: QUADERNO n° 13, Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto per l’edilizia ed il risparmio energetico, Palermo, settembre 1987, p.

(2)

Cfr. BETTINI VIRGINIO; Elementi di ecologia urbana. Ed. Einaudi, Torino, 1996, p.

(3)

Cfr. BETTINI VIRGINIO; op. cit., p.

(4)

Cfr. BETTINI VIRGINIO; op. cit., p.

(5)

Cfr. ALESSANDRO S., BARBERA G., SILVESTRINI G.; op. cit., p.

(6)

Cfr. ALESSANDRO S., BARBERA G., SILVESTRINI G.; op. cit., p.

(7)

Cfr. ALESSANDRO S., BARBERA G., SILVESTRINI G.; op. cit., p.

(8)

Cfr. AA.VV.; Ecologia delle aree urbane. La riqualificazione delle zone in disuso. Ed. Guerini Studio, Milano, 1990, p.

(9)

Cfr. BETTINI VIRGINIO; op. cit., p.

(10)

Cfr. ALBERGONI F. G.; Verde in città. In: ACER , n° 4, luglio/agosto 1987, p. 41.

(11)

Cfr. WILMERS FRITZ; Green for melioration of urban climate. In: ENERGY AND BUILDINGS, n°11, 1988, pp. 289-299.

(12)

Cfr. ALESSANDRO S., BARBERA G., SILVESTRINI G.; op. cit., p.

(13)

Cfr. BERNATZKY A.; The contribution of trees and green spaces to a town climate. In: ENERGY AND BUILDINGS, n° 1, 1982, pp. 1-10.

(14)

Cfr. LORENZINI G.; Le piante e l’inquinamento dell’aria. Edagricole, Bologna, 1983.

(15)

Cfr. ALESSANDRO S., BARBERA G., SILVESTRINI G.; op. cit., p.

 


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