Alla University of California, Los Angeles, hanno
cercato indizi su tempi e modi di dormire dei nostri
antenati più lontani, e lo hanno fatto studiando le
abitudini di popolazioni che vivono ancora oggi
fuori dal nostro mondo industrializzato.
Jerome Siegel,
professore di psichiatria al Semel Institute of
Neuroscience and Human Behavior della UCLA
(University of California, Los Angeles), e direttore
della ricerca, ha coinvolto l'Hunter College, la
Yale University, la UC Santa Barbara e la University
of New Mexico, per studiare ritmi di vita, del sonno
e le abitudini dei popoli degli Hadza della
Tanzania, dei San della Namibia e degli Tsimane
della Bolivia.
I ricercatori sono
partiti dall'idea consolidata che la vita moderna
abbia ridotto il tempo passato dormendo, ma i
risultati dello studio hanno portato da tutt'altra
parte.
Ne è uscito confermato
che sonno e salute sono strettamente legati, così
come sono confermati i benefici connessi con la luce
del mattino, con il dormire in una stanza fresca
svegliandosi perciò non tardi.
Le misurazioni fatte con
l'aiuto degli antropologi hanno riguardato 94 adulti
per un totale di 1.165 giorni. E' il primo studio
realizzato sul sonno e le abitudini di popoli che
vivono ancora secondo i ritmi della natura,
mangiando ciò che raccolgono e cacciano.
Un mito che è stato
cancellato è quello che ritiene che i popoli antichi
andassero a dormire con il calare del sole. Lo
studio ha mostrato che questi popoli andavano a
dormire mediamente 3 ore e 20 minuti dopo il
tramonto.
La maggior parte delle
persone studiate ha dedicato al sonno meno di 7 ore,
mediamente 6 ore e 25 minuti. Se confrontiamo il
dato con i valori riferiti a quanto si dorme oggi
nelle società industrializzate di Europa ed U.S.A.
corrisponde alla parte bassa del grafico attuale.
Chi si aspettava che dormissero 8 o 9 ore è rimasto
deluso.
Non ci sono elementi che
facciano pensare che questo tempo dedicato al sonno
sia poco, dato che quei popoli hanno tassi di
obesità molto minori, così come minori sono problemi
di pressione alta e di aterosclerosi, e maggiori i
livelli di attività fisica.
Si è anche visto che la
quantità di sonno era legata alle stagioni, con 6
ore in estate e poco meno di 7 in inverno. I
pisolini sono risultati relativamente rari.
L'insonnia è così rara
tra i popoli non industrializzati studiati che per
alcuni di loro non esiste nemmeno la parola per
indicarla, mentre è un problema che riguarda il 20%
degli americani.
La ragione potrebbe anche essere legata alla
temperatura degli ambienti in cui si dorme e ci si
sveglia. Tra i popoli studiati il risveglio avviene
sempre quando la temperatura notturna è scesa al
minimo, anche quando questo avviene dopo l'alba.
Nel mondo occidentale, invece, si dorme a
temperature prestabilite, anche se un po' più basse
rispetto al giorno, ma il sonno a temperatura più
bassa contribuisce, negli esseri umani, a
controllare il sonno stesso.
Importante poi
l'esposizione alla luce mattutina, confermata come
dominante in tutte le tre culture esaminate: i
ricercatori ricordano che la luce del mattino è
particolarmente efficace nella cura della
depressione.
Un altro elemento da
tenere in debito conto è la latitudine alla quale
vivono questi popoli e quindi le ore in cui il sole
sorge e tramonta, che cambiano molto se sei
all'equatore o sopra i tropici nelle aree temperate.
Alla fine, i ricercatori
sono arrivati alla conclusione che, tutto sommato,
l'arrivo dell'elettricità e della luce elettrica ha
permesso di ripristinare i ritmi dei popoli più
antichi, che vivevano ad altre latitudini.
Per saperne di più
Current Biology
Natural Sleep and Its Seasonal Variations in Three
Pre-industrial Societies
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UCLA - University of California, Los Angeles
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Marco Dal Negro |