Per contrastare i fattori di rischio
cardiovascolare, oltre a prescrivere statine, ACE
inibitori e ß-bloccanti, i medici spesso invitano i
pazienti a svolgere una regolare attività fisica.
Nella maggior parte
delle situazioni aumentando la quantità di attività
fisica, per intensità, per frequenza o per durata si
hanno maggiori benefici e nessuna altra terapia nota
sembra offrire caratteristiche altrettanto
vantaggiose.
Questa convinzione ha persino portato alcuni
ricercatori, 40 anni fa, ad ipotizzare che i
maratoneti fossero immuni da aterosclerosi.
Partecipare ad una maratona non era molto frequente
in quegli anni e l'adattamento ad attività fisica
così pesante non era ancora stato studiato a fondo.
Il boom di partecipazioni che ha caratterizzato i
decenni successivi, con alcuni alcuni eventi
mortali, ha portato a studiare il fenomeno in modo
più approfondito.
Pubblicità
Si è così andata
formando la convinzione sempre più radicata di un
collegamento tra attività fisica e rischio di
fibrillazione atriale, di aritmie ventricolari ed
anche di eventi ischemici.
Ma come si conciliano questi rischi con i noti e
comprovati benefici? Se ne sono occupati due studi
che mettendo i relazione i dati relativi ad
incidenza della fibrillazione atriale, mortalità di
origine cardiovascolare e mortalità totale, hanno
visto che in due grandi gruppi di persone dediti ad
attività fisica, l'intensità e la durata sono
risultati essere i cardini di queste associazioni.
Ne è scaturita una curva di dati a U con il massimo
beneficio cardiovascolare raggiunto con dosi
moderate di attività fisica, mentre i benefici
calano se gli sforzi sono molto intensi o
prolungati.
Per saperne di più
Heart
Exercise and the heart: unmasking Mr Hyde
Marco Dal Negro |