Intervista con Lester Brown di Andrea Pinchera - da
boiler.it
Per anni, chiunque fosse
stato interessato a conoscere i destini ambientali
della Terra aveva un porto sicuro: Lester Brown e il
Worldwatch Institute. Brown è in Italia, per una
serie di conferenze organizzate dal Wwf. A Roma, in
particolare, ha tenuto la "Aurelio Peccei Lecture"
2001, in onore del fondatore e animatore del Club di
Roma, che con i suoi rapporti ha animato le
discussioni a proposito del futuro energetico e
ambientale dell'umanità, anticipando molti dei temi
della globalizzazione. Lo abbiamo intervistato, per
sapere del prossimo libro, Eco-economy (che uscirà
negli Stati Uniti ai primi di novembre e in Italia
tra qualche mese); e della sua nuova creatura, l'Earth
Policy Institute, per la quale ha abbandonato
l'incarico di presidente del Worldwatch Institute.
Che cos'è l'Earth Policy Institute? Valeva la pena
lasciare la sua prima creatura, il Worldwatch
Institute, per creare un nuovo organismo?
Innanzitutto io sto ancora nel direttivo del
Worlwatch Institute, anzi lo presiedo. In tale
carica, ovviamente, non ho molte responsabilità
quotidiane, così ho più tempo per pensare e
scrivere. E quello che io penso è che il mondo abbia
bisogno di una visione di cosa sarà una economia
sostenibile da un punto di vista ambientale, della
nuova "eco-economia". Perché se non abbiamo una
visione, un'idea di dove vogliamo andare sarà molto
difficile arrivarci.
Quindi il suo nuovo istituto si concentrerà sulle
cose da fare?
Sì, perché il movimento ambientalista globale sta
diventando molto forte, ma tende a lavorare "contro"
delle cose, piuttosto che "a favore" di altre.
All'inizio, probabilmente, doveva essere così. Ma
ora un tale atteggiamento non è più sufficiente ed è
per questo che voglio tracciare una visione. Spero
che un giorno sia condivisa da molti e che ognuno
possa lavorare per creare una nuova economia, che
sosterrà il progresso economico senza però
distruggere i sistemi naturali sui quali si fonda.
In Eco-economy lei sostiene appunto che bisogna
ribaltare il rapporto tra ecologia ed economia...
Ci sono due modi di guardare al mondo. All'inizio
del mio libro, ricordo che nel 1543 l'astronomo
polacco Niccolò Copernico pubblicò un testo, Della
rivoluzione delle sfere celesti, nel quale sfidava
l'idea tradizionale che il Sole orbitava attorno
alla Terra, affermando al contrario che era il
nostro pianeta a girare attorno al Sole. Questa sua
visione alternativa a quella tolemaica portò a una
rivoluzione del pensiero, a una nuova visione del
mondo. Oggi, abbiamo bisogno di una simile mutazione
di prospettiva a proposito delle relazioni tra
natura ed economia. Di solito, gli economisti
tendono a pensare che l'economia sia un sistema
operativo generale, del quale l'ambiente non è altro
che un sottoinsieme. Nella mente di molti
industriali ed economisti l'ambiente è solo la parte
inquinata dell'economia: qualcosa da ripulire e
tutto torna a posto. Si tratta invece di una cosa
molto più fondamentale. Gli ecosistemi terrestri
tendono a sopravvivere abbastanza bene senza
l'economia, ma l'economia non può vivere senza di
essi. Ma se, come affermano gli scienziati
dell'ambiente, l'economia è parte degli ecosistemi
naturali, ne consegue che l'economia deve essere
disegnata, strutturata in modo da essere compatibile
con gli ecosistemi...
Così non è, invece...
Esatto. Il nostro problema è che l'economia non è
sincronizzata con gli ecosistemi che la sostengono.
E ne vediamo le conseguenze. Man mano che l'economia
cresce, infatti, si moltiplicano i sintomi di
stress: aree di pesca al collasso, foreste che si
riducono, deserti che si espandono, risorse idriche
insufficienti, oceani che salgono, temperature in
crescita, tempeste distruttive più frequenti, ondate
di caldo, ghiacci che si sciolgono, specie animali e
vegetali che scompaiono. Non è un rapporto
sostenibile: gradualmente, man mano che gli
ecosistemi naturali si deteriorano, anche l'economia
entrerà in crisi.
Ci dia allora un'immagine di come apparirà la
eco-economia...
Ne vediamo già alcuni esempi: nelle fattorie del
vento in Danimarca, nei tetti solari in Giappone,
nella riforestazione in Corea, nelle reti ciclabili
in Olanda, negli impianti di riciclaggio
dell'acciaio negli Stati Uniti, in quelli di carta
in Germania, nelle celle a combustibile che
alimentano le prime automobili. Uno dei più
sensazionali sviluppi degli ultimi anni è l'enorme
crescita dell'energia eolica. Ma ancora più
interessante è il potenziale di questa fonte
energetica. Secondo il Dipartimento per l'energia
Usa, tre stati come Nord Dakota, Texas e Kansas
potrebbero produrre sufficiente energia dal vento
per soddisfare la richiesta nazionale di
elettricità. Inoltre, una volta abbassati i costi
dell'elettricità, diventa conveniente l'elettrolisi
dell'acqua per produrre idrogeno: e l'idrogeno sarà
la vera alternativa al petrolio. L'idrogeno può
essere utilizzato nelle turbine, ma anche nelle
celle a combustibile, questo dispositivo simile alla
pila che può produrre energia o muovere
un'automobile senza creare inquinamento. Così, negli
Usa possiamo guardare a un futuro nel quale
contadini e allevatori, con le turbine a vento
installate nelle loro aziende, produrranno non solo
gran parte dell'elettricità nazionale, ma anche una
buona parte del combustibile che alimenterà le
automobili americane. È una prospettiva molto
eccitante, che credo si realizzerà velocemente. Solo
quest'anno, d'altra parte, l'energia eolica "made in
Usa" crescerà di più del 60 per cento.
Quello di cui lei parla fa pensare a un libro di
Paul Hawken e dei coniugi Lovins, Capitalismo
naturale...
Sì, il loro libro è pieno di esempi di come far
andare meglio le cose, di come migliorare la
produttività e inquinare di meno. Quello che io
faccio con Ecoeconomy è fornire le strutture, gli
elementi di connessione tra tutte le soluzioni
proposte da Hawken e dai Lovins.
Lei si dichiara ottimista a proposito del futuro. Ma
quali sono le condizioni perché si instauri una
economia sostenibile da un punto di vista
ambientale?
La prima sfida è costringere il mercato a dire la
verità, la verità ecologica. Ora, se andiamo alla
pompa di benzina a rifornire la macchina, paghiamo i
costi di estrazione e raffinazione del greggio, il
trasporto fino alla pompa, ma non paghiamo per
l'inquinamento atmosferico, i mutamenti climatici,
le piogge acide e tutti gli altri impatti ambientali
causati dal ciclo dei combustibili fossili. Il
mercato deve essere più onesto a proposito dei costi
reali delle tecnologie disponibili. Ma quello che è
più importante è che ci troviamo di fronte alla
necessità di ristrutturare l'economia in modo da
permettere che il progresso non si arresti. E questa
ristrutturazione rappresenta la maggiore opportunità
d'investimento della storia. Non abbiamo affrontato
niente di questa scala finora: ristrutturare
l'economia energetica, riforestare, investire
nell'efficienza idrica, rimpiazzare l'industria
mineraria con quella del riciclaggio rappresentano
altrettante opportunità di sviluppo. E le industrie
che se ne renderanno conto per prime saranno
vincenti, mentre quelle che cercheranno di
proteggere lo status quo saranno perdenti.
Intanto, però, fatichiamo a ratificare anche un
accordo minimo come il Protocollo di Kyoto. Che
pensa delle posizioni del presidente George Bush? I
cittadini americani la pensano come lui?
Tutti i sondaggi d'opinione indicano di no: i
cittadini americani sono più avanti rispetto al loro
presidente. Se ripensiamo ai primi mesi di
presidenza, notiamo che Bush non prestava molta
attenzione al resto del mondo, a quello che faceva e
pensava la comunità internazionale. Ma poi è
arrivato l'11 settembre, e all'improvviso
l'amministrazione ha compreso che ha bisogno di
cooperare con il resto del mondo contro il
terrorismo. E io penso che Bush abbia imparato la
lezione e non potrà più fare da solo, anche in campo
ambientale. Stiamo entrando all'interno di una nuova
dinamica, le cose sono cambiate, anche se in un modo
che ancora non sappiamo.
|