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Disastro Galapagos: danni incalcolabili, ma nessuno pagherà
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La
nave equadoregna viaggiava "senza rete" nel mare più
prezioso del mondo, senza mappe a bordo e senza
copertura assicurativa. Le ultime notizie che
arrivano dall'arcipelago rendono disperata e
paradossale una situazione già grave legata al
rilascio del combustibile al largo delle isole
Galapagos. Ancora una volta si dimostra che il
traffico del petrolio in molte parti del mondo resta
ancora in mano a veri e propri "pirati del mare" .
"Chissa' cosa diranno gli abitanti delle Galapagos e
soprattutto i responsabili del Parco Nazionale
quando si accorgeranno che nessuno paghera' i danni
incalcolabili che il petrolio produrra' sulla
preziosissima fauna dell'arcipelago - ha dichiarato
Fulco Pratesi, Presidente del WWF Italia".
L'altissima specializzazione delle centinaia di
specie animali (molte delle quali "endemiche",
esistenti esclusivamente lì) presenti sulle isole
rendera' ancora piu' difficile qualunque loro
adattabilita' alle nuove condizioni ambientali che
il disastro provochera'. Ai danni prodotti dal
combustibile "bunker" e diesel che la nave sta
riversando in mare si stanno aggiungendo quelli
prodotti dalle migliaia di litri di solventi
utilizzati per disciogliere il petrolio: in un'area
cosi' delicata sarebbe meglio intervenire aspirando
il petrolio fuoriuscito.
In ogni caso non arriverà nemmeno una lira alla
popolazione delle isole vista l'assenza della
copertura assicurativa della nave ma soprattutto a
causa delle regole dell'IOPCF (Fondo per il
risarcimento dei danni prodotti da inquinamento da
idrocarburi) al quale aderiscono ben 70 paesi
(Italia compresa) che dal 1992 non prevede alcun
risarcimento del danno ambientale ma solo i costi di
un "ragionevole ripristino". Sola eccezione gli
Stati Uniti che dopo l'esperienza della Exxon Valdez
hanno adottato una specifica normativa (OIL
POLLUCTION ACT) che ha consentito in Alaska di
risarcire la popolazione di 3mila miliardi di lire
solo per il danno ambientale tra i 7mila
complessivi. Al danno quindi si aggiungerà per gli
equadoregni la beffa di non poter avere dalle
industrie petrolifere i fondi per poter risanare
questo patrimonio mondiale.
"C'e' un enorme differenza tra cio' che accade nei
mari dell'America meridionale e quelli del
Continente settentrionale. Una petroliera come la
Jessica - ha aggiunto Stefano Lenzi, responsabile
mare del WWF Italia - non sarebbe mai potuta entrare
negli Stati Uniti: qui tutte le petroliere devono
avere garanzie dal punto di vista assicurativo e
finanziario e sui contratti rispetto alle societa'
che intervengono in caso di inquinamento. Nelle
acque delle Galapagos, invece, come molte altre
parti del mondo, Mediterraneo compreso, si naviga
'senza rete"'.
Le regole, in teoria ci sarebbero, ma restano tutte
sulla carta e questo ultimo incidente ha svelato
ancora una volta tutte le "falle" del commercio
mondiale di petrolio: secondo il WWF ne' i
petrolieri ne' gli stessi Stati hanno personale
competente in grado di verificare la documentazione
imposta dalle Convenzioni internazionali come la
MARPOL sull'inquinamento marino o la SOLAS sulla
sicurezza della navigazione. Queste convenzioni
impongono a chi governa le petroliere di verificare
le condizioni strutturali e operative delle navi ma
i controlli effettuato dalle autorita' marittime non
sono assolutamente efficaci e spesso mancano gli
strumenti di analisi e calcolo adatti. Spesso il
personale non e' formato nella lettura dei documenti
a bordo. Esiste anche l'obbligo del doppio scafo per
le navi cisterna costruite a partire dal '96 oltre
alle 5mila tonnellate in base alle regole OMI della
Convenzione Marpol ma, alla luce dei numerosi
incidenti verificatisi in questi ultimi anni, e'
necessario accorciare i tempi della riconversione
della flotta come già richiesto da Francia e Italia.
"Oltre all'applicazione severa di queste regole
l'unica speranza di salvezza per gli ultimi paradisi
naturali come le Galapagos resta la dichiarazione di
queste zone come "Aree Particolarmente sensibili" e
interdette a qualunque traffico di navi pericolose o
inquinanti - ha aggiunto Pratesi - come e' avvenuto
gia' per la Grande Barriera Corallina australiana.
La stessa richiesta il WWF la ha avanzata per alcune
aree del Mediterraneo particolarmente fragili, come
le Bocche di Bonifacio e l'Alto Adriatico,
attraversate ogni giorno da navi cariche di petrolio
e altre sostanze inquinanti.
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